Stato di emergenza o meno, la “banda dei trenta” scende in campo per il rispetto del diritto all’informazione in Polonia. In ballo c’è il diritto di sapere e raccontare all’opinione pubblica la situazione di quei profughi intrappolati a tempo indeterminato lungo il confine con il vicino bielorusso. «Vogliamo informare il governo e l’opinione pubblica che siamo contrari al divieto di lavoro per i giornalisti nelle zone frontaliere», si legge in un comunicato congiunto rilasciato da una trentina di media locali, coinvolti nella campagna «Dziennikarze na granicy» (Giornalisti alla frontiera).

A «minacciare» la sicurezza del paese, 32 afgani abbandonati a sé stessi nelle foreste della Podlachia a Usnarz Górny e almeno 26 siriani, bloccati più a sud, nel voivodato di Lublino. «Anche ammettendo che le frontiere siano da considerare una zona di potenziale conflitto militare, a maggior ragione in questi territori si rende necessaria la presenza dei mezzi di informazione e delle organizzazioni umanitarie», scrivono i firmatari dell’appello diffuso all’inizio di questa settimana. Era dal 1989 che Varsavia non ricorreva allo stato di emergenza, una misura che era stata scartata dal governo di Diritto e giustizia (Pis) anche in piena emergenza da Covid-19, ad aprile del 2020, soltanto per non rinviare le elezioni presidenziali, svoltesi poi qualche mese dopo. In effetti, in Polonia la legislazione sullo stato di emergenza non prevede che si possa impedire ai giornalisti di svolgere le proprie mansioni. Eppure, il governo ha risolto il problema con un decreto dei Consiglio dei ministri di dubbia validità giuridica che ha messo fuorigioco la stampa.

Il Pis ancora una volta ha scelto di tirare dritto per la sua strada. Anche se l’elettorato cattolico costituisce il nocciolo duro del partito fondato dai fratelli Kaczycski, il Pis ha scelto di ignorare l’appello lanciato dal cardinale di Varsavia Kazimierz Nycz: niente corridoio umanitario per prestare soccorso ai migranti respinti continuamente dagli agenti di frontiera polacchi per impedire che possano presentare domanda di asilo in Polonia, il tutto in spregio alla Convenzione di Ginevra. Almeno a Usnarz Górny, prima dell’ennesimo decreto bavaglio, ai giornalisti era consentito di stazionare a 200-300 metri dai rifugiati con i quali era possibile comunicare attraverso un megafono. Tra i migranti finiti in questo limbo ci sono anche diversi bambini. Di loro non si hanno ormai più notizie da diversi giorni.

A onore del vero la politica dei respingimenti non è una novità nell’agenda del Pis. A farne le spese sono soprattutto i ceceni che continuano a essere allontanati dal territorio polacco da almeno 5 anni dopo un viaggio della speranza in treno dalla stazione dormitorio di Brest in Bielorussia in direzione di Terespol in Polonia. E proprio lì che sono bloccati quei migranti siriani che il Pis spera di poter continuare ad agitare come spauracchio elettorale il più a lungo possibile.