«Non volere, Polonia, il mio sangue» è questo lo slogan scelto dalle manifestanti per dire nie all’introduzione del divieto totale di aborto, con un provvedimento discusso ieri al Sejm, la camera bassa del parlamento polacco. Persino il partito della destra populista, Diritto e giustizia (Pis), si è espresso contro: «Con questa iniziativa si fa un regalo ai movimenti pro-aborto», ha dichiarato Anita Czerwinska portavoce del Pis al Sejm. E lì che si sono concentrate le proteste a Varsavia e che hanno visto la partecipazione di migliaia di donne. Manifestazioni anche a Cracovia Breslavia, Katowice e almeno in una decina di altre città.

La proposta di legge di iniziativa popolare, presentata grazie alle firme raccolte dai teocon della fondazione Pro-Prawo do Zycia, prevede per chi pratica l’aborto persino l’ergastolo in circostanze aggravate. A rappresentare in modo simbolico il sangue delle donne, la vernice rossa sparsa il giorno prima nella capitale da alcune attiviste proprio davanti al Sejm, alla sede del ministero del Salute e a quella del Pis, al potere in Polonia dal 2015. Oltre alla vernice, si sono visti anche dei manichini coperti di rosso e adagiati a terra come vittime di una legislazione sempre più restrittiva in materia di interruzione volontaria di gravidanza.

Dopo la messa al bando dell’aborto terapeutico, sancita con una sentenza del Tribunale costituzionale (filo-Pis) il 22 ottobre 2020, resta possibile mettere fine a una gravidanza soltanto in due casi: quando è a rischio la vita della madre oppure quando esiste il sospetto fondato che la gravidanza sia il risultato di violenza sessuale. «Non perdete la speranza, il percorso che porta alla legalizzazione dell’aborto è terribile ma arriverà questo momento», ha dichiarato di fronte ai manifestanti a Varsavia Marta Lempart, leader del Sciopero nazionale delle donne» (Osk), tra i principali promotori della protesta di ieri.

Ma le manifestanti hanno espresso la loro indignazione anche per un altro disegno di legge discusso ieri alla camera. Il Pis punta infatti a creare un «Istituto della famiglia e della demografia» che dovrebbe raccogliere anche i dati sensibili, relativi alla salute delle donne in età fertile, senza offrire garanzie ai cittadini in merito a modalità e finalità del trattamento.

Intanto, il Fondo Nazionale della Salute (Nfz) ha reso noto gli esiti dell’inchiesta interna sul decesso di una cittadina, avvenuto a settembre in un ospedale di Pszczyna, in Slesia, e diventato un caso nazionale con risonanza oltre i confini. Il personale dell’ospedale aveva deciso di non interrompere la gravidanza della donna, nonostante fosse in grave pericolo di vita. «Dopo essere venuti a conoscenza dei fatti non abbiamo più alcun dubbio che siano stati violati i diritti della paziente», ha dichiarato il difensore civico dei pazienti Nfz, Bartlomiej Chmielowiec. Sospesi anche due medici coinvolti nel trattamento della donna.