All’inizio degli anni Novanta Sergio Bologna tenne una conferenza, in seguito pubblicata nel volume Nazismo e classe operaia, in cui contestava l’idea che la classe operaia tedesca si fosse arresa al nazismo senza combattere. Al contrario, sosteneva, si era battuta duramente e nelle condizioni più drammatiche, determinate dalle crisi economica del 1929.

A fianco di politici, sindacalisti e intellettuali, non bisogna dimenticare le decine di migliaia di militanti, legati alle diverse anime del movimento operaio tedesco dell’epoca, che decisero di rispondere con la violenza alla violenza nazista. Beninteso, ciò non fu una specificità tedesca: in Italia le camicie nere si scontrarono con gli Arditi del Popolo – e si potrebbero fare altri esempi per quanto riguarda la Francia, l’Inghilterra e così via.

La Prima guerra mondiale, infatti, innescò una serie di processi che portarono alla brutalizzazione della politica e alla militarizzazione delle culture politiche.

La conseguente simbiosi tra politica, violenza e cultura si dispiegò in forme particolarmente radicali nella prima democrazia tedesca, la Repubblica di Weimar. A destra si affermarono prima i Freikorps e in seguito le SA. A sinistra, invece, il Partito socialdemocratico diede vita nel 1924 al Reichsbanner Schwarz-Rot-Gold (Bandiera del Reich nero-rosso-oro, ossia i colori della tradizione repubblicana tedesca) in difesa della repubblica, che alla fine del 1931 entrò nel Fronte di Ferro. Nel 1924 il Partito comunista fondò a sua volta la Lega dei combattenti del Fronte rosso, seguita nel 1930 dalla Lega di lotta contro il fascismo e nel 1932 dall’Antifaschistische Aktion (Azione antifascista). Lo slogan era chiaro: «Schlagt die Faschisten, wo Ihr sie trefft!» («Colpite i fascisti ovunque li incontriate!»). Di dimensioni assai più ridotte erano infine le Schwarze Scharen , una rete di gruppi sorta nell’ambito del sindacato anarchico Faud, i cui membri si presentavano alle manifestazioni completamente vestiti di nero.

Senza formare un insieme solidale e compatto ma anzi spesso in rivalità tra loro, queste organizzazioni si contrapposero fisicamente (anche ricorrendo ad armi bianche e da fuoco) alla sempre maggiore aggressività delle SA, galvanizzate dai successi elettorali di Hitler dal 1929. Tale contrapposizione si dispiegava in uno stillicidio di conflitti politici violenti spesso di piccole dimensioni, incontrollabili e imprevedibili.

Può essere utile un esempio. Il 22 gennaio 1931 i nazisti invitarono provocatoriamente comunisti e socialdemocratici a un dibattito con Joseph Goebbels presso una sala del quartiere operaio berlinese di Friedrichshain. I comunisti accettarono. Alle 20 e 30 si ritrovarono circa 3mila persone, per la maggior parte nazisti. Secondo le cronache, quando Goebbels dichiarò di essere venuto con il suo cervello per dimostrare che Hitler aveva ragione alcuni comunisti urlarono «mostracelo!». Lo scontro fu inevitabile: alla fine della battaglia di Friedrichshain si contarono 100 feriti e 500 sedie distrutte. Diverso è il caso della “domenica di sangue” di Altona. 17 luglio 1932 i nazisti organizzarono una marcia ad Amburgo che, con il suo grande porto, era una delle roccaforti della sinistra.

L’obiettivo era Altona, un ex villaggio di pescatori ormai inglobato nel tessuto urbano. Verso le tre del pomeriggio 7mila SA e SS formarono una colonna inquadrata militarmente che, un’ora dopo circa, giunse alle porte di Altona e venne attaccata dagli antifascisti spalleggiati dagli abitanti. Alla ritirata del corteo nazista seguì l’intervento della polizia: alla fine della giornata persero la vita 18 persone. Pochi mesi dopo iniziava il Terzo Reich.

È interessante notare la persistenza negli odierni movimenti antifascisti del simbolo dell’Antifaschistische Aktion del 1932 (due bandiere rosse, sovrapposte e leggermente sfalsate).

All’inizio degli anni Novanta, infatti, alcuni gruppi antifascisti reagirono all’attivismo neonazista a seguito del crollo del Muro di Berlino e ripresero il simbolo, cambiando il colore di una delle due bandiere (da rossa a nera): lo si può facilmente riconoscere tra le bandiere, gli striscioni e i volantini distribuiti nelle manifestazioni per Ilaria Salis di queste settimane. Le vicende dell’antifascismo degli anni compresi tra le due guerre mondiali continuano a parlare la lingua del presente.