Non è facile a pochi giorni dalla conclusione dell’Assemblea Cittadina di Podemos, fare previsioni sulla sua conclusione, se ne uscirà un partito unito e rinnovato, pronto a riprendere l’iniziativa nella società e nelle istituzioni, oppure diviso e sfiduciato, che farà a fatica l’opposizione.

La prudenza è d’obbligo anche per evitare di interpretare il duro confronto interno facendosi guidare dal «vissuto italiano». Certo è che, aprendo la mattina i quotidiani spagnoli, ciò che ne esce è un partito scosso dalle divisioni interne, per giunta fortemente personalizzate sui due dirigenti di punta, Iglesias ed Errejón. È reale il pericolo che dall’Assemblea esca un partito paralizzato e non tranquillizza granché dire che sono in gran parte fantasie di una stampa ostile.

E inquieta un po’ la scelta di dimettersi dalla direzione e di non entrare nel futuro gruppo dirigente di Carolina Bescansa e Nucio Alvarez, fondatori di Podemos e responsabili, la prima del programma e il secondo della politica estera del partito. È del tutto evidente che se l’Assemblea di Podemos dovesse seguire la triste parabola di tanta sinistra europea, e italiana in particolare, radicale o riformista che sia, dove non c’è più alcuna armonia, ma solo contrasto fra ciò che si dice e ciò che si fa, in cui sulla saggezza di un vero spirito unitario, prevalgono le ambizioni, il personalismo, le diffidenze, il gusto del potere, si allontanerebbe di molto la possibilità di una alternativa al governo Rajoy e alle sue disastrose politiche.

Si perderebbe la speranza che 5 milioni di persone hanno dato con il voto a Podemos, di una Spagna più giusta socialmente e ambientalmente, più femminista, con più diritti, in una parola più libera. A rendere ancora più precaria una alternativa è la situazione non migliore del Psoe, quasi sull’orlo di una scissione. Ovvio che il PP di Rajoy gongola, certo che questo stato di cose gli consentirà di proseguire indisturbato il massacro sociale e ambientale della Spagna. Anzi può permettersi battute ironiche: «come faranno mai Podemos e il Psoe a governare il paese se non sanno governare neanche se stessi?».

C’è poco tempo per cercare di porre rimedio al danno di immagine e credibilità che il mancato accordo, fra le tre componenti che si confrontano in Podemos, ha prodotto. Sarebbe un indizio importante di inversione di tendenza un’alta partecipazione di iscritte/i al dibattito e alle votazioni online. Da loro può arrivare ossigeno sull’intossicato confronto interno, per spersonalizzarlo e ancorarlo ai reali problemi della Spagna.

Un’alta partecipazione che non si limiti a dirimere il contenzioso sui vari documenti e relative liste per la nuova direzione, ma abbia la forza di spostare l’asse della discussione, rifocalizzandola sul tema centrale su cui in realtà è stato convocato il congresso: quale partito serve per concludere quell’assalto al cielo per cui è nato Podemos? Se questo interrogativo tornerà al centro del confronto si potrà finalmente vedere che nei tre documenti su cui si sta discutendo, c’è molto che unisce: tutti e tre rifiutano la scelta difensiva di un Podemos che amministra i grandi risultati raggiunti, ma al contrario quella forza va usata per vincere le prossime elezioni e governare la Spagna.

Altrettanto comune è la convinzione che per essere maggioranza nel paese è necessario cominciare a costruirla da subito, alimentando dentro e fuori delle istituzioni, quei conflitti che modifichino i rapporti di forza oggi favorevoli alle destre. Non ci sono divergenze di fondo nemmeno sulla forma di partito che serve per trasformare questi obiettivi in realtà: un partito di massa, radicato nei territori a cui vanno decentralizzate risorse e decisioni, una forza soprattutto femminista, che prefigura in sé quella liberazione dal patriarcato che si intende mettere al centro del progetto di Spagna. E infine un Podemos che non si concepisce come il «partito della rivoluzione», forza autosufficiente, ma confluenza di differenti sensibilità.

Da Iglesias a Urbán, passando per Errejón, sottolineano nei loro documenti che Podemos potrà governare la Spagna solo se si confermerà un soggetto capace di promuovere e essere parte di forme più estese di democrazia organizzata, di quelle reti sociali antagoniste che ogni giorno costruiscono dal basso il cambiamento, anticipando istituzioni e governi. Un Podemos quindi che si definisce come una rete ben cucita, che non si slabbra, ma ha fiducia in ognuno dei suoi nodi, che è parte di un progetto in cui altri attori sono attivi e che prefigura in sé quell’idea di Spagna come paese di paesi. C’è molto dunque su cui unirsi ed è augurabile che si riesca a vederlo. La parola ora a iscritte/i.