Tre maschi abbracciati e sorridenti posano di fronte alla scritta, in viola e colori primaverili su sfondo bianco, «Nosostras». È la foto che sigla l’accordo tra le anime interne di Podemos per le primarie della comunità di Madrid. È la scenografia di una sofferta mediazione politica e ritrae i candidati Iñigo Errejón e Ramón Espinar con il leader Pablo Iglesias. Tre uomini di potere, zero donne.

LA DIMENSIONE SIMBOLICA ha la sua importanza, le femministe lo sanno bene, ancora una volta non ci stanno e non tacciono il proprio disappunto. Quella foto dice che «non c’è la possibilità di un’altra scelta, perché non ci sono candidate», evidenzia che «le donne non hanno il ruolo che dovrebbero avere in Podemos, per questo non sono nella foto». Così si legge nel duro comunicato subito diffuso dal circolo delle femministe della città di Madrid. Esprimono la stanchezza per «le dinamiche verticali e maschiliste che si stanno producendo nel partito», annunciano di «voler sfidare il regolamento per la formazione di liste per le primarie che elimina la possibilità di una partecipazione reale delle donne femministe, dei circoli e della base di Podemos».

IL CIRCOLO FEMMINISTA di Podemos Madrid indica che «non è un caso che la maggioranza dei segretari generali eletti nelle ultime elezioni interne fosse di maschi» (solo 4 donne su 17 leader). Troppo spesso la modalità del partito viola «non si integra con le donne». Podemos fatica a gestire bene la sua relazione con i femminismi e spesso rispolvera «processi progettati per favorire i candidati che sono già nella lista, la maggior parte di loro maschi».

Ma davvero una foto può delegittimare la coerenza di un partito sulle questioni di uguaglianza? Certo questa regolamentazione delle primarie è contraria allo spirito del documento presentato dalle femministe e approvato, con entusiasmo e giubilo, all’ultimo congresso di Vistalegre, quel documento votato da tutte e tutti che ha proposto di ampliare la partecipazione delle donne nella vita pubblica e politica. Quindi chissà dove è finita oggi quell’idea di uguaglianza dal basso verso l’alto. E di fatto questa invisibilità delle donne è disarmonica con la scelta di femminilizzazione della politica sostenuta almeno a parole da Podemos, è un colpo di arresto rispetto alla scelta di appoggiare, l’8 marzo scorso, lo sciopero globale delle donne.

Una perdita di credibilità che può pregiudicare l’obiettivo di fare di Podemos e delle sue possibili confluenze il vincitore delle prossime regionali e comunali del 2019, condizione decisiva per poter sottrarre il governo di Spagna alle destre nelle prossime elezioni generali. Quanto accade in questi giorni non aiuta a convincere Manuela Carmena, sindaca di Madrid, a ricandidarsi.

PROPRIO LEI che amministrando la città ha impersonato il cambiamento. Mentre si definiva il patto per le primarie fra i maschi, lei conquistava la sentenza del tribunale che respinge il ricorso delle grandi compagnie elettriche escluse dalla fornitura di elettricità alla città – un affare da 82 milioni – per il loro rifiuto di produrla solo con fonti rinnovabili.

In un chiaro riferimento a Iglesias, Errejón e Espinar, il circolo femminista sostiene che «i compagni devono fare un passo indietro in modo che le donne possano farne uno avanti»: solo così avanza tutta la società. «La politica femminista non è dire siamo femministe, consiste in un cambiamento radicale nel modo di rendere la politica più plurale, più umana e diversificata, più ecologica e, naturalmente, solidale». Sembra bello, non facile.