Il «secondo turno delle politiche», come aveva definito Pablo Iglesias la tornata elettorale di domenica scorsa, è risultato un boccone amarissimo per il leader viola. Se il Psoe ha confermato la sua indiscutibile egemonia, arrivando primo in 10 delle 12 regioni dove si votava, e mandando una truppa di 20 eurodeputati nel gruppo socialista (più di qualsiasi altro paese), Podemos ha perso su tutte le piazze. Ha perso le sue sindache più emblematiche, quelle di Barcellona e Madrid, e in molte comunità autonome non è più necessario ai governi socialisti, alcuni dei quali recuperano maggioranze assolute che non sembravano più possibili. La speranza della leadership di Unidas Podemos era quella di far pesare le sue vittorie e il suo potere territoriale nella futura negoziazione con Pedro Sánchez, in cui già partiva in svantaggio. Oggi, nonostante i suoi 35 seggi nel Congresso, il partito che voleva “assaltare il cielo” è più debole che mai.

E ora, lontani gli appuntamenti elettorali, è l’ora del redde rationem: sono sempre più forti le voci di chi chiede al leader di farsi da parte, mentre dentro Izquierda Unida, l’unico sindaco di capitale di provincia conquistato dal partito, il sindaco di Zamora, che ha ottenuto la maggioranza assoluta senza Podemos, chiede al proprio partito di ripensare la coalizione con i viola. Íñigo Errejón, uno dei fondatori di Podemos, dà la colpa alla rigidità del suo ex partito delle débâcle, mentre Iglesias – unico dei leader politici che domenica sera si era chiuso in un eloquente mutismo -, ieri nella prima conferenza stampa, pur ammettendo i cattivi risultati, insisteva nel reclamare un governo di coalizione, sia a livello nazionale, che nelle regioni e comuni dove fosse stato possibile. «Quando ci dividiamo e litighiamo non funziona», ha detto rivolto a Errejón. Ma ha aggiunto: «Non ci arrendiamo».

Ma il Psoe ha ora gioco facile nel cercare di bypassare la richiesta di Podemos che ha un peso politico molto più relativo che un mese fa. Tanto che i socialisti riabbracciano l’opzione di un monocolore in minoranza e intanto chiedono nuovamente a Ciudadanos di tagliare il «cordone sanitario» contro Sánchez, per evitare che i corrotti del Pp governino a Madrid con Vox – ma tutti sanno che non gli dispiacerebbe che lo stesso avvenisse nel Congresso, dove con Ciudadanos il Psoe avrebbe una comoda maggioranza.

Intanto Vox, che è stato molto ridimensionato rispetto a un mese fa (dal 10 al 6%), ma ormai è entrato in quasi tutti i parlamenti e amministrazioni locali, alza la posta in gioco: per sostenere il Pp non si limiterà a un appoggio esterno, come in Andalusia, ma vorrà peso e riconoscimento politico esplicito. Se il Pp non ha mostrato nessuna remora, qualcuno in Ciudadanos sì. Un Ciudadanos che pur migliorando rispetto ai risultati delle precedenti comunali, regionali ed europee, ha perso chiaramente la scommessa di superare il Pp a destra: e questo potrebbe rimettere in discussione la sua strategia degli ultimi mesi, schiacciata a destra, per riaprirsi ad altre opzioni politiche. Intanto il Pp tira un sospiro di sollievo: aver salvato la comunità di Madrid, riconquistare la capitale e aver frenato gli arancioni sono un toccasana per Pablo Casado, un leader che un mese fa era sull’orlo della dimissione.