I russi minacciavano una violenta rappresaglia già da qualche tempo e ieri notte sono passati ai fatti. Oltre 90 missili e 60 droni kamikaze si sono abbattuti sulle città e sulle infrastrutture energetiche ucraine. La più grande centrale idroelettrica sul fiume Dnipro è stata colpita da ben otto testate e ha riportato «danni molto seri» secondo i funzionari ucraini. Così come gli impianti energetici nei pressi di Kharkiv, Kiev, Dnipro, Kryivi Rih e persino la lontanissima Leopoli.

Il risultato è che da diverse ore molte città ucraine sono al buio e la mancanza di corrente causa anche problemi idrici, come denuncia il sindaco di Kharkiv, colpita molto duramente. Anche la centrale nucleare di Zaporizhzhia è rimasta senza alimentazione e i rappresentanti ucraini hanno subito lanciato l’allarme, anche se poche ore dopo la situazione è stata riportata alla normalità. Finora i morti accertati sono almeno cinque.

È LA RISPOSTA di Mosca ai recenti attacchi ucraini alle raffinerie che si trovano in territorio russo e, forse, una vendetta per aver rovinato la festa a Vladimir Putin alle ultime elezioni bombardando Belgorod e Kherson.

Erano mesi che il Cremlino non colpiva su vasta scala così duramente, secondo alcuni analisti militari addirittura dal primo anno di guerra. In ogni caso la massiccia ondata di bombardamenti arriva lo stesso giorno in cui il Financial Times rivela che gli emissari statunitensi in visita a Kiev nei giorni scorsi hanno provato a dissuadere lo stato maggiore ucraino dal colpire le raffinerie russe per evitare un inasprimento del conflitto e l’aumento dei prezzi del petrolio che potrebbe avere ripercussioni sulla campagna elettorale di Biden oltreoceano.

La rivista britannica ha stimato che dal 12 marzo in poi, ovvero da quando Kiev ha iniziato ad attaccare sistematicamente le raffinerie in territorio russo, i prezzi del greggio sono aumentati quasi del 4% e un ulteriore aumento dei prezzi della benzina negli Stati uniti «indebolirebbe la figura del presidente Joe Biden e comprometterebbe le sue possibilità di rielezione».

Per tutta risposta la vice premier ucraina, Olga Stefanishyna, ha dichiarato durante il secondo giorno del «Forum sulla sicurezza» che si svolge nella capitale ucraina: «Le raffinerie secondo alti funzionari sono obiettivi assolutamente legali da un punto di vista militare» e, in buona sostanza, l’Ucraina continuerà a bersagliarle.

Anche Mosca ha preso parola sull’argomento e il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha addirittura rilanciato: «Il nostro governo preferirebbe che gli Usa invitassero l’Ucraina ad astenersi dagli attacchi alle strutture sociali civili e agli edifici residenziali». Il che in un giorno in cui sette regioni ucraine sono parzialmente al buio suona un po’ paradossale.

MA PESKOV si è spinto oltre e ha rovesciato la realtà dichiarando che l’obiettivo della Russia è «liberare il territorio» delle quattro regioni «attualmente occupate dal regime di Kiev» anche se quei territori sono ucraini e sono le truppe russe a occuparli militarmente dall’inizio della guerra.

Poi, per la prima volta dal 24 febbraio 2022, Peskov ha usato la parola «guerra», anche in questo caso per spostare il biasimo sugli avversari. «De jure» sostiene il portavoce di Putin, «questa è una operazione militare speciale, ma de facto per noi si è trasformata in una guerra dopo che l’Occidente collettivo ha sempre più aumentato il livello del suo coinvolgimento nel conflitto».

Immediata la reazione del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel: «Il portavoce del Cremlino ha dichiarato oggi lo stato di guerra in Russia. Riconoscono, alla fine, di aver scatenato una guerra contro l’Ucraina».