In Europa le economie più robuste hanno registrato significativi rallentamenti e persino recessioni. Tale parabola va considerata dentro un contesto tendenzialmente stagnante, che vede la Cina ottenere una crescita attorno al 5% e gli Usa al 2,5%. Risultati considerevoli, ma lontani da quel che veniva conseguito in passato e frutto anche di un forte interventismo pubblico. Ora al rallentamento della Germania & Co. è corrisposto una performance un poco migliore di quei paesi che tradizionalmente arrancavano. Prendiamo ad esempio il 2023. La Francia realizza un +0,9% di Pil, Paesi Bassi +0,2%, Germania addirittura -0,3%, mentre la Spagna totalizza +2,5%, la Grecia +2%, il Portogallo uno sorprendente +9,7%, l’Italia +0,9%, Irlanda -0,6%. Si parla già di «rivincita» dei Pigs e in effetti la crescita totalizzata dall’Europa negli ultimi due anni può essere ascritta principalmente a quei paesi che erano considerati l’anello debole continentale.

Anche il primo trimestre di questo anno, raffrontato all’ultimo del 2023, conferma la tendenza. Spagna e Portogallo sono cresciuti dello 0,7%, l’Italia dello 0,3%, mentre Francia e Germania solo dello 0,2%. Recentemente l’economista Fortis ha effettuato un paragone del Pil pro-capite, sottolineando come la crescita italiana epurata dal conteggio del calo demografico, risulti ancor più robusta di paesi come Giappone, Francia, Regno Unito, Germania e Canada, segnati meno dal calo della popolazione.

I calcoli per rafforzare un quadro considerato con entusiasmo possono essere molteplici. Si fanno raffronti tra Francia e Italia sull’ammontare del debito pubblico o sul tasso di disoccupazione, segnalando come in entrambi i casi recentemente la seconda faccia meglio della prima. Si parla così di «cambio di passo», progresso «strutturale», che investirebbe una tendenza di lungo periodo. L’impressione è che questi giudizi valorizzino i dati statistici che favoriscono la dimostrazione della propria tesi. Indubbiamente vanno considerati alcuni dati migliori dell’Italia e dei paesi mediterranei, ma la comparazione va fatta fino in fondo. Il quadro è da tempo tendenzialmente e strutturalmente stagnante per tutti.

Va compreso che tale processo è acuito da un commercio internazionale anemico, conseguenza di un prepotente ritorno della geopolitica. I paesi mediterranei nel rimbalzo post-Covid hanno evidentemente capitalizzato il grande ritorno del turismo, ma restano le sofferenze sul fronte industriale. Per fare un esempio a marzo si registra il quattordicesimo mese consecutivo di calo della produzione italiana con un -3,5%, un calo piuttosto generalizzato fatto salvo il comparto energetico. Anche il dato occupazionale deve essere letto in controluce, considerando che una recente ricerca afferma che negli ultimi 30 anni i salari italiani sono cresciuti dell’1% a fronte di una media dei paesi Ocse del 32%. Ricordiamo inoltre che per tasso di occupazione, Pil pro-capite, esclusione sociale, working poor (dati 2022) facciamo peggio della media Ue a 27.

Negli ultimi anni, poi, se è vero che grazie all’inflazione c’è stata una riduzione del debito pubblico, non può essere sottaciuta, almeno in Italia, la serie di deficit totalizzati, grazie in particolare all’impatto del bonus 110%, che fanno prevedere un rapporto debito-pil in salita nei prossimi due anni.

Infine, il dubbio è che il miglioramento dello stato economico di alcuni paesi vada ricercato in percorsi specifici. Il Portogallo, ad esempio, ottiene una crescita ineguagliata, grazie anche a politiche di dumping fiscale non generalizzabili che se da un lato lo hanno reso una meta appetibile, dall’altro hanno sprigionato tassi di inflazione elevatissimi tali da rendere il paese invivibile per i propri abitanti. Sarà un caso l’exploit dell’estrema destra alle recenti elezioni? Insomma i trionfalismi in questi tempi rischiano di essere poco credibili, un mascheramento di difficoltà complessive dell’attuale sistema di accumulazione.