Lacrimogeni e idranti contro pietre. Poliziotti in tenuta antisommossa contro disperati costretti a contendersi perfino una bottiglia d’acqua ma proprio per questo decisi a tutto pur di lasciare l’isola di Lesbo.

La rivolta era nell’aria e non poteva essere altrimenti. Dopo la quarta notte passata dormendo all’aperto, senza potersi lavare e mangiando quello che hanno potuto rimediare grazie agli sforzi delle ong, i profughi dell’ex campo di Moria ieri si sono scontrati duramente con la polizia. Sui cartelli innalzati dai manifestanti le parole d’ordine che hanno scandito la protesta e che non avrebbero potuto essere più chiare: «Libertà» e «Vogliamo lasciare Moria». Il sogno di lasciarsi alle spalle l’isola diventata ormai una prigione – e per molti di coloro che ieri si sono scontrati con la polizia lo è ormai da anni – per essere trasferiti sulla terraferma.

La stessa richiesta – il trasferimento dei profughi sulla terraferma – avanzata anche dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres. E’ chiedere troppo? Sì per il governo di Atene, deciso a non cedere a quella che è solo una necessità dei profughi ma incapace di gestire la mole di richieste di asilo così come non è stato capace di approntare un piano per fronteggiare l’emergenza coronavirus nei campi. Unica soluzione proposta: il prolungamento all’infinito del lockdown accompagnato da una forte limitazione della possibilità per i profughi di muoversi. Da qui la voglia di libertà dei manifestanti.

Ieri intanto sono cominciati i lavori per realizzare il nuovo campo profughi che sorgerà in un’area recintata non distante dal porto. Atene aveva promesso che Moria non sarebbe stata riaperta, ma nonostante nei giorni scorsi l’Unione europea abbia promesso finanziamenti per evitare che il nuovo campo si trasformi in un altro inferno per migliaia di uomini, donne e bambini, nulla garantisce che possano ripetersi gli errori visti in passato.

Con più di undicimila persone in strada, tra le quali migliaia di bambini, per adesso verranno allestiti soli tremila posti. «Sarà data priorità alle famiglie, con tende per sei persone. Il processo di ricollocazione comincia oggi», ha assicurato un portavoce del ministero dell’Immigrazione.

Unica nota positiva è l’apertura fatta dai dieci Paesi che hanno accettato di farsi carico dei 400 minori non accompagnati che si trovavano a Moria. I bambini verranno trasferiti in Francia, Germania, Olanda, Belgio, Finlandia Lussemburgo, Slovenia, Croazia, Portogallo e Svizzera (che non fa parte dell’Ue). Un primo passo importante, ma del tutto insufficiente a far fronte all’emergenza. Che l’Unione europea dovrebbe fare di più lo ha detto anche Olaf Scholz, vicecancelliere e ministro della Finanze tedesco, per il quale la disponibilità ad accogliere profughi dalla Grecia arrivata finora dagli Stati membri «non è all’altezza delle necessità». Germania inclusa, che secondo Scholz «deve dichiarasi pronta ad accogliere più richiedenti asilo da Lesbo».

Il primo a rispondere è stato il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, con parole che però vanno in tutt’altra direzione rispetto a quella auspicata da Scholz: l’Austria non accoglierà gli sfollati di Moria, ha detto infatti il leader del Partito Popolare. «Rischiamo di commettere gli stessi errori fatti nel 2015», ha spiegato. Una posizione in contrasto da quella espressa dai verdi, suoi partner di governo, ma che invece rischia di diventare la linea lungo la quale si attesterà la maggior parte degli Stati membri.