Giulietta Banzi, Livia Bottardi, Clementina Calzari, Alberto Trebeschi, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti e Vittorio Zambarda. Sono i nomi delle otto vittime della strage di piazza della Loggia, avvenuta a Brescia il 28 maggio del 1974, un martedì, durante un comizio antifascista organizzato dal sindacato. Poi ci sono anche cento feriti. E sette inchieste giudiziarie diverse, per un totale di sedici processi. Più altri due, che cominceranno nei prossimi giorni. Trentadue nel complesso gli imputati. E una sola sentenza passata in giudicato, con la condanna all’ergastolo di un medico veneziano, Carlo Maria Maggi, leader di Ordine Nuovo nel nord-est, morto ai domiciliari nel 2018, e di Maurizio Tramonte, spia del Sid, alias «Fonte Tritone».

LA STORIA, raccolta in un fascicolo da un milione di pagine scritto dai pm Francesco Piantoni e Roberto Di Martino, è quella di un intreccio complesso ma saldissimo tra destra eversiva e pezzi dello stato, forze dell’ordine, servizi segreti, apparati della Nato definiti «deviati». Tutti insieme con l’obiettivo di minare la democrazia italiana, frenare la crescita del movimento operaio e favorire una svolta autoritaria: è la strategia della tensione, materia che gli storici hanno ben chiara da decenni ma che a livello giudiziario si è sempre persa in un labirinto indagini fatte male o troppo tardi, silenzi e depistaggi. Sulla strage di Brescia la matrice neofascista è stata fissata dalla sentenza Conforti emessa dalla Corte d’assise d’appello (bis) di Milano il 22 luglio del 2015 e poi definitivamente validata dalla Cassazione il 20 giugno del 2017.

GIOVEDÌ, a Brescia, comincerà il processo contro Marco Toffaloni, 66 anni, residente in Svizzera dove si fa chiamare Franco Maria Muller. All’epoca della strage aveva 16 anni, frequentava il liceo a Verona ed era soprannominato «Tomaten» perché era solito arrossire. Nella primavera del 2011, l’ex ordinovista padovano Giampaolo Stimamiglio riferì ai magistrati bresciani una conversazione avuta tempo prima con Toffaloni. «Anche a Brscia gh’ero mi». Anche a Brescia ero io. Così gli avrebbe detto. Da qui è partita l’ultima inchiesta, che adesso approda davanti al giudice del tribunale dei minori, perché Toffaloni, nel 1974, ancora non era maggiorenne. Secondo gli investigatori, tra le altre cose, c’è una foto che lo ritrare in piazza della Loggia subito dopo l’esplosione.

IL 18 GIUGNO, invece, in corte d’assise sarà la volta del processo a Roberto Zorzi, 68 anni, residente a Seattle dove gestisce un allevamento di dobermann chiamato «il Littorio». La procura è convinta che sia stato lui in persona a piazzare la bomba in un cestino sul colonnato della piazza. C’è una testimone che fa il suo nome, Ombretta Giacomazzi, che negli anni ’70 frequentava molto da vicino gli ambienti dell’eversione nera. Stando a quanto ha raccontato agli inquirenti, il 19 maggio del 1974, nel giorno del funerale del suo fidanzato Silvio Ferrari (morto pochi giorni prima per l’esplosione di una bomba che stava trasportando in Vespa), Toffaloni e Zorzi erano a Brescia. Sarebbero stati loro a scrivere un volantino che in quei giorni girava in città: «Comunichiamo alla popolazione che entro il mese di maggio gravi attentati saranno posti in azione». Dieci giorni dopo una bomba esplose davvero.

SE ANCORA LA GIUSTIZIA non ha completato il suo percorso, la strage di Brescia certo non si può definire un vero e proprio mistero. Lo dice Arnaldo Trebeschi, 89 anni, che quel 28 maggio era in piazza della Loggia, dove vide morire suo fratello Alberto e sua cognata Clementina Calzari. «È vero che sono ancora in corso dei processi, ma la verità c’è – sostiene -. Ci sono i nomi di due dei responsabili: Maurizio Tramonte e Carlo Maria Maggi, anch’essi della destra eversiva. La firma certa della strage è quella neofascista». Oggi, per il cinquantesimo anniversario, a Brescia ci sarà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ci sarà una messa, ci saranno otto rintocchi di campana, ci sarà un minuto di silenzio. Ci sarà la memoria là dove negli ultimi anni non sono mancate le provocazioni. Nel 2022, infatti, la sezione giovanile locale di Fratelli d’Italia ha scelto di intitolare il proprio circolo a Pino Rauti. Che per la strage fu imputato e assolto. Restano le parole della Cassazione che nel 2017 lo ha definito «uno degli esponenti di punta dell’estrema destra italiana dell’epoca, con il quale sia Tramonte che Maggi risultavano collegati».