Cresce in Perù la rabbia verso la compagnia spagnola Repsol, responsabile di quello che è considerato il più grave sversamento di petrolio della storia del paese. Impietose le immagini catturate dal satellite PeruSAT-1, da cui è emersa tutta la gravità del disastro avvenuto il 15 gennaio durante il trasferimento di greggio dalla petroliera italiana Mare Doricum alla raffineria La Pampilla della Repsol, con la dispersione di almeno 6mila barili di petrolio nel Pacifico, all’altezza di Lima e di El Callao.

E mentre la marea nera continua a spostarsi verso nord, raggiungendo Punta Salinas a 30 km da Huacho, dopo aver contaminato nove spiagge e due riserve naturali protette, nessuno crede alle parole del direttore esecutivo della Repsol Jaime Fernández-Cuesta Luca de Tena, che ha garantito che le spiagge inquinate saranno pulite «entro la fine di febbraio».

In realtà per riparare al danno gli esperti sostengono che potrebbero volerci dieci anni, anche a causa di una mancata risposta immediata da parte della Repsol, che all’inizio aveva comunicato solo la dispersione di 0,16 barili di petrolio in uno spazio di appena 2,5 metri quadrati.

E uguale sconcerto ha prodotto la ricostruzione dell’incidente da parte della compagnia, che si è affrettata a ricondurlo agli effetti dello tsunami seguito all’eruzione del vulcano sottomarino a Tonga. Solo «una scusa», ha denunciato il ministro dell’Ambiente Rubén Ramírez, secondo cui le attività in mare, nel giorno del disastro, non avevano registrato alcuna anomalia.

Senza contare che, come ha evidenziato l’esperto di Oxfam Perù Miguel Lévano, un’impresa delle dimensioni della Repsol dovrebbe saper rispondere «a qualunque situazione di emergenza».

Ma se la compagnia ha provato a sottrarsi a ogni responsabilità – e dunque a ogni obbligo di risarcimento – cavandosela appena con la distribuzione di alimenti ai pescatori colpiti, il suo tentativo è destinato al fallimento. Non a caso, mentre la Procura ha aperto un’indagine per il reato di contaminazione ambientale contro i suoi rappresentanti legali e i funzionari della raffineria, anche il governo ha annunciato provvedimenti: «Stiamo valutando gli aspetti legali», ha dichiarato la prima ministra Mirtha Vásquez.

E non è stato da meno il presidente Pedro Castillo, assicurando che saranno intraprese tutte le necessarie azioni «penali, civili e amministrative» contro la compagnia, che non solo è incorsa dal 2015 in ben 32 infrazioni ambientali (benché sia stata multata appena per tre di esse e abbia pagato completamente solo per una), ma già nel 2013 si era resa responsabile di un analogo incidente, anche in quel caso offrendo inizialmente informazioni inesatte.