Hamidou è pescatore dal 2004 e, dal 2012, ha notato un forte cambiamento nelle acque senegalesi: il pesce, una delle maggiori fonti di sostentamento del paese, ha iniziato a scarseggiare. Il calo, che secondo l’oceanologo Timothée Brochier è stato tra il 20 e il 50% negli ultimi quattro decenni, ha una serie di con-cause estremamente complesse. La quantità di pesci pelagici come le sardine atlantiche – che costituivano fino a poco tempo fa uno degli ingredienti base della dieta senegalese e possono essere prese come indice di pescosità – ha subito una drastica diminuzione (dalle 425.561 tonnellate nel 2018 a 49.550 nel 2021, secondo Brochier, ) a causa principalmente del riscaldamento climatico e di eccedenze della pesca.

PER QUESTO SECONDO FATTORE diverse aree della società civile e della politica puntano il dito sui trattati di pesca tra il governo e i suoi diversi partner, ivi compresa l’Unione europea. La situazione è in realtà più complicata. Ovviamente i famosi trattati di pesca e la loro potenziale rinegoziazione, che potrebbero costituire uno dei principali dibattiti della campagna elettorale in vista delle elezioni di febbraio, costituiscono una delle principali cause della pesca intensiva da parte di attori di diverse nazionalità – spagnoli, italiani, turchi, coreani.

Secondo un funzionario della Delegazione della Presidenza (DER/FJ) che si occupa di finanziamenti all’imprenditoria, incluso il settore alieutico, le statistiche ufficiali andrebbero completamente riviste. Queste ultime indicano che solo il 20% degli sbarchi proverrebbe dalla pesca industriale – con prodotti poi direttamente esportati, mentre l’80% proverrebbe dalla pesca artigianale. Dati difficilmente accordabili con la realtà, dove la provenienza del pesce ai mercati centrali è raramente riconducibile alle attività locali.

 

Hamidou al mercato Kermel (foto Sofia Scialoja)

 

C’è poi la presenza illegale di altri soggetti, che sfruttano le risorse alieutiche in una maniera non riconducile al potere negoziale del Senegal, ma piuttosto a un’assenza di controllo delle dinamiche di corruzione. Numerosi infatti sono coloro, perlopiù di nazionalità cinese, che ricercano prestanome senegalesi, proponendo degli accordi di spartizione al 51-49% per imbarcazioni che possono così continuare a battere bandiera senegalese. Imbarcazioni che aumentano la concorrenza alla pesca artigianale e locale, risultando altamente competitive perché – al pari delle imbarcazioni dichiaratamente straniere – sono dotate di sofisticate strumentazioni per l’individuazione di banchi di pesce, e contribuendo così allo sfruttamento smodato delle risorse.

UN ALTRO FATTORE IN GIOCO, secondo Brochier, è l’eccessivo sviluppo delle fabbriche di farina di pesce, in primo luogo nella vicina Mauritania, che presenta un mare estremamente pescoso; sono poi gli stessi pesci che migrano verso sud, dalle coste marocchine a quelle guineane, in funzione delle stagioni e delle correnti. La Mauritania dal 2012 ha messo in atto un nuovo piano di politiche pubbliche per lo sviluppo locale, spronando la costruzione di oltre quaranta fabbriche di farina di pesce – politiche seguite, in minore misura, anche in Senegal e Gambia.

Questo cambiamento di paradigma ha però portato a un peggioramento dei problemi di sovrasfruttamento delle risorse – in primis, per l’appunto, delle sardine atlantiche, dato che la presenza delle fabbriche non solo ha moltiplicato l’attività di pesca in sé, ma “usa” anche il pesce fresco.
Sta di fatto che la penuria di pesce nelle acque del Senegal si riflette ovviamente a livello occupazionale, essendo la pesca uno dei principali settori di impiego. In questo senso, secondo un alto funzionario del Ministero degli Esteri, si associa sempre di più la figura del pescatore a quella del migrante irregolare.

E il funzionario della DER/FJ conferma: i pescatori senegalesi sono sempre più colti in un circolo vizioso. L’emigrazione verso l’Europa via mare, con il viaggio su piroga dalle coste ovest-africane alle Canarie, dimezza infatti le comunità di pescatori, fra cui i più esperti. Questi sono invitati da terzi ad intraprendere il viaggio a basso costo, essendo loro i principali prestatori di servizio – ovvero i capitani della piroga. Un business, dunque, più lucrativo della pesca in sé, che riserva ormai troppi imprevisti e un basso guadagno; e con una percentuale di riuscita (leggi: di sopravvivenza) di ben il 60-70%.

COME CI COMUNICA LUIS PADILLA, direttore delle relazioni con l’Africa del governo delle Canarie, nel 2023 sono sbarcati sulle isole atlantiche oltre 36mila migranti, comprendenti 4.300 minori, e di cui 20mila provenienti dalle coste senegalesi. Un numero, a suo avviso, proporzionalmente elevato se si guarda alle Canarie, ma esiguo rispetto alla Spagna e all’Ue – dai quali pretende solidarietà. Tutti temi che toccano nel profondo la politica interna senegalese, e rispetto ai quali, sempre più, si richiedono insistentemente soluzioni.