Quando Kenji Fujimori ha deciso di non far passare la mozione di impeachment contro il presidente Pedro Pablo Kuczynski, astenendosi insieme al suo gruppo di parlamentari, tutti hanno capito che avrebbe ricevuto qualcosa in cambio. E anche cosa fosse. E il 24 dicembre è arrivata la ricompensa: l’indulto umanitario per suo padre, l’ex presidente golpista Alberto Fujimori, condannato a 25 anni di prigione per le sue responsabilità nelle stragi di La Cantuta e Barrios Altos in cui morirono 25 persone tra il 1991 e il 1992.

MA SE PPK SPERAVA che il clima natalizio avrebbe distratto la popolazione, si sbagliava di grosso. La gente è scesa subito in strada a protestare, mostrando le foto delle tante persone assassinate e fatte sparire sotto il regime di Fujimori e gridando la propria indignazione nei confronti del «bugiardo compulsivo» Kuczynski, capace non solo di mentire sui suoi rapporti con la multinazionale brasiliana Odebrecht – occultando i servizi di consulenza offerti ad essa, in cambio di quasi 5 milioni di dollari, da due imprese a lui vincolate – ma anche di sconfessare il suo impegno a non scendere a patti con l’autoritarismo fujimorista.

Così, dopo aver garantito, ancora lo scorso luglio, che non avrebbe concesso l’indulto – «Fujimori ha il diritto di chiederlo, ma io non lo firmerò» – Ppk si è fatto beffe del voto di quei cittadini che, al ballottaggio del 2016, pur di non ritrovarsi la figlia di Fujimori, Keiko, alla guida del paese, avevano chiuso gli occhi sul curriculum ben poco esaltante di chi aveva già ricoperto la carica di ministro dell’Economia nel governo (corrotto) di Alejandro Toledo.

NEL SUO COMUNICATO, Ppk ha tentato di far passare l’indulto, richiesto da Fujimori l’11 dicembre, come una questione di natura strettamente medica, richiamandosi al giudizio espresso dal Collegio medico sull’«infermità progressiva, degenerativa e incurabile» dell’ex dittatore, per il quale le condizioni carcerarie, peraltro piuttosto confortevoli, sarebbero risultate letali.

MA SE PPK HA BARATTATO l’indulto con la sua permanenza al potere, non c’è alcuna garanzia che ciò possa servirgli: secondo infatti il giurista Joseph Campo, proprio per smentire l’ipotesi di questo poco onorevole scambio, il partito fujimorista Fuerza Popular, guidato da Keiko Fujimori, non farà che aumentare la propria belligeranza nei confronti del governo, già molto provato dalla permanente strategia di destabilizzazione portata avanti all’interno del Congresso.

QUANTO A FUJIMORI, il figlio Kenji ha informato che passerà alcuni giorni nel reparto di terapia intensiva fino «al suo totale recupero» – non spiegando come ciò sia compatibile con l’«incurabile» malattia del padre – per poi tornare a godere «della libertà che merita».

A meno che il Tribunale Costituzionale non dichiari la nullità del procedimento di indulto «per gravi vizi procedurali», come evidenziato dall’ex procuratore Avelino Guillén, considerando non solo la natura dei reati commessi dall’ex presidente – classificati come crimini di lesa umanità – ma anche l’evidente parzialità della valutazione del collegio medico, a cui ha partecipato anche uno dei medici che ha in cura da 20 anni l’altrimenti noto «Chinochet» (in riferimento alle sue origini giapponesi e alla somiglianza con il dittatore cileno).

NON A CASO, IL DIRETTORE generale per i Diritti umani presso il Ministero di Giustizia, Roger Rodríguez Santander, ha rassegnato le proprie dimissioni sottolineando come «i presunti mali» di Fujimori addotti per giustificare la concessione dell’indulto «manchino di un sia pur minimo grado di verosimiglianza», essendo tali mali, come ha spiegato l’oncologo Elmer Huerta, nient’altro che «infermità croniche analoghe a quelle di cui soffrono moltissimi anziani in Perù, nessuna delle quali mortale».

IN PRIMA LINEA nella richiesta di annullamento dell’indulto sono naturalmente i familiari delle vittime del caso la Cantuta (dove, nel 1992, un professore universitario e nove studenti furono sequestrati e assassinati dal gruppo paramilitare Colina): hanno già fatto sapere che si rivolgeranno alla Commissione Interamericana per i Diritti umani.