La Polonia, seguita a ruota dall’Ungheria, ha bloccato da sabato scorso fino a fine giugno l’import di cereali e oleaginosi dall’Ucraina. La Slovacchia ha fatto lo stesso ieri, e la Romania minaccia di unirsi ai tre paesi del gruppo Visegrad. La ragione: con il blocco del tragitto abituale del Mar Nero in seguito all’aggressione russa, le esportazioni ucraine passano via terra, esentate da tariffe doganali, una decisione presa dalla Ue a favore di Kiev nel maggio del 2022 per un anno (arriva quindi a scadenza a breve).

QUESTE PRODUZIONI agricole ucraine, che sulla carta sono destinate a paesi terzi, hanno fatto però crollare i prezzi interni dei paesi limitrofi, oltre a portare alla saturazione dei silos. Con conseguenze politiche non trascurabili: di fronte alle proteste degli agricoltori, in Polonia all’inizio del mese si è dimesso il ministro dell’Agricoltura e la crisi rischia di far traballare il Pis, il partito al potere, che tra qualche mese deve affrontare le elezioni (e nel 2019 aveva vinto grazie al voto rurale).

ANCHE LA SLOVACCHIA va al voto quest’anno e gli agricoltori sono in agitazione. La Polonia è tra i paesi che si sono impegnati di più per fornire armi e accogliere rifugiati. Ed è quello che più preme, nella Ue, per spingere ad aumentare gli aiuti all’Ucraina in materia di armamenti e per aggravare le sanzioni contro la Russia. Ma, sottolineano a Bruxelles, quando si tratta di difendere i propri interessi, Varsavia dimentica la solidarietà (per l’Ungheria è un altro discorso, Budapest non è mai stata in prima linea per gli aiuti a Kiev). I paesi confinanti da cui transita l’export agricolo ucraino via terra hanno fin dall’inizio cercato di intralciare la libera circolazione senza diritti di dogana, mettendo barriere non doganali (controlli sanitari).

IN REALTÀ, LA MANOVRA di questi paesi è un mezzo per far pressione sulla Ue e ottenere un aumento degli aiuti: c’è già stato un primo pacchetto di 50 milioni di euro per gli agricoltori dalla Riserva per le crisi agricole, e un secondo è allo studio. La Commissione ha espresso irritazione, ieri, per il modo: la decisione di Varsavia e Budapest è stata presa «in modo unilaterale», un’azione «non accettabile», poiché «la politica commerciale è di esclusiva competenza della Ue». Bruxelles ha chiesto un po’ di tempo per «valutare» la situazione e raccogliere maggiori informazioni. Spagna e Olanda hanno subito protestato per questo blocco: i due paesi sono importatori di cereali dall’Ucraina per l’alimentazione animale. Solo ieri, Sergio Mattarella in visita a Varsavia aveva esortato il presidente polacco Andrzej Duda a non lasciare sola l’Ucraina.

Il blocco dell’export, che chiude la strada per far uscire i cereali dall’Ucraina, rischia di avere conseguenze gravi per la sicurezza alimentare di varie parti del mondo. Anche se la produzione agricola dell’Ucraina, storicamente un granaio mondiale, è in calo a causa dell’invasione: dai 60 milioni di tonnellate esportate nella campagna 2019-2020, si è passati a 47,5 milioni in quella in corso per il 2022-2023 e le previsioni sono di un ribasso a 40 milioni per il 2023-2024. Il 30% dell’export di cereali e oleaginosi ucraini va al mercato europeo – nell’ultimo anno senza barriere doganali – il 30-35% all’Africa e il 40% all’Asia. Per molti paesi dipendenti, per esempio l’Egitto o la Giordania, c’è forte preoccupazione.

COME SOSTITUIRE l’Ucraina? L’Argentina soffre di un’importante siccità, mentre il Brasile già si propone per il mais. Per Kiev l’export di prodotti agricoli è importante, anche se con la guerra, il reddito è diminuito anche per l’aumento dei prezzi di produzione, dall’energia alla logistica.