Commentando la riconferma al potere di Recep Tayyip Erdogan, il Wall Street Journal ieri scriveva che il presidente turco ora, persino più di prima, farà il possibile per trasformare la Turchia in una potenza globale. È molto probabile. Però Erdogan non potrà mai raggiungere questo obiettivo solo flettendo i muscoli. Prima di tutto deve rimettere sui binari l’economia turca. E per riuscirci ha bisogno di buone relazioni in Medio oriente.

Per questo gli analisti si attendono che Erdogan porti avanti il processo di riconciliazione avviato negli ultimi due-tre anni con paesi che non molto tempo fa considerava avversari se non addirittura nemici della Turchia. Uno di questi è Israele con cui il presidente turco di fatto, per lungo tempo, non ha avuto relazioni e ha accusato più volte di crimini contro i palestinesi. Con Benyamin Netanyahu ha avuto violenti scontri verbali. Invertita la tendenza, lo scorso novembre Erdogan ha parlato al telefono con il premier israeliano e ha espresso il desiderio di continuare a promuovere le relazioni tra i Paesi.

Quella è stata la prima conversazione tra i due dal 2013, quando Netanyahu si è scusato con Erdogan per l’uccisione di 10 attivisti dell’organizzazione turca IHH durante l’abbordaggio, da parte di un commando israeliano, del traghetto Mavi Marmara diretto a Gaza. La riconciliazione tra i paesi è accelerata a febbraio con la visita del ministro degli esteri israeliano Eli Cohen in Turchia, che ha fatto seguito a quella dello scorso anno del presidente Isaac Herzog che domenica si è congratulato con Erdogan. Durante la campagna elettorale, peraltro è stato evidente come Erdogan non abbia utilizzato né Israele né la causa palestinese per raccogliere voti e consensi.

Se mantenere buoni rapporti con l’unica potenza atomica regionale è decisivo per delineare limiti e possibilità delle ambizioni della Turchia – senza dimenticare l’interesse per il gas israeliano che Ankara vorrebbe far transitare sul suo territorio in direzione dell’Europa – il sostegno finanziario dei paesi del Golfo è vitale per Erdogan. La recente riappacificazione con l’Arabia saudita – storica rivale della Turchia – è stata un passo decisivo per provare ad ottenere finanziamenti e investimenti delle petromonarchie in Turchia. Nel Golfo il presidente turco rieletto ha già un alleato ricco e influente, l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani. Se Vladimir Putin si è congratulato con il leader turco chiamandolo «caro amico», Al Thani è andato oltre. «Mio caro fratello Recep Tayyip Erdogan, congratulazioni» ha scritto l’emiro in un messaggio, auspicando che crescano le relazioni tra Doha e Ankara.

Felici per l’esito delle presidenziali in Turchia sono i leader dei Fratelli musulmani con cui Erdogan mantiene legami in tutto il Medio oriente, da quelli di Hamas a Gaza, passando per quelli egiziani fino a quelli siriani. Questi ultimi però sanno che la strategia della riconciliazione di Erdogan passa anche per Damasco, sebbene proprio ieri l’ufficio della presidenza turca abbia comunicato che non è in vista un incontro con il leader siriano Bashar Assad che Erdogan ha provato in più modi a rimuovere dal potere. Un eventuale faccia a faccia con il suo ex avversario potrebbe portare, secondo gli analisti, a un accordo anti-curdo. In questa direzione sono rivolti anche i buoni rapporti, sebbene intermittenti, tra Ankara e Teheran.

Infine, non per importanza, c’è la ripresa dei contatti con l’Egitto. Anche Abdel Fattah El Sisi, almeno a parole, non è più nemico di Erdogan. Mohammed Amer, direttore del Dipartimento-Turchia presso il «Centro per gli studi politici» del Cairo, sostiene che i due paesi riapriranno presto le rispettive ambasciate e non esclude un vertice tra El Sisi ed Erdogan, sulle dispute in Libia, l’occupazione turca nel nord della Siria e il gas nel Mar Mediterraneo orientale.