Il 24 marzo si concluderà a Roma la Carovana nazionale dell’acqua, che, dall’inizio di febbraio, ha attraversato molti territori d’Italia. Con quest’iniziativa, intendiamo, in prossimità della giornata mondiale dell’acqua del 22 marzo, ridare attenzione e forza al tema dell’acqua come bene comune per eccellenza e diritto umano fondamentale.

Il movimento dell’acqua è assurto nel nostro Paese ad un certo grado di notorietà ed importanza in occasione dei 2 referendum sull’acqua pubblica del giugno 2011: mi sento però di dire che il pensiero «lungo» del movimento per l’acqua, nel nostro Paese così come a livello internazionale, non si esauriva e non era interamente racchiudibile in quella pur fondamentale battaglia contro la privatizzazione del servizio idrico.

In realtà, già allora, ma ancor più oggi, sono evidenti fenomeni strutturali, nel senso di essere insiti nel «modello di sviluppo» neoliberista, che danno un senso profondo e permanente all’iniziativa per affermare la natura di bene comune dell’acqua.

BASTA RAGIONARE su quello che sta producendo il surriscaldamento climatico del pianeta, indotto da un’attività antropica basata su un’ideologia «sviluppista». Si sta riuscendo a far diventare l’acqua una risorsa «scarsa», condizione perfetta per darle una misurazione economica e un prezzo, magari una quotazione borsistica, insomma l’ideale per inserirla nel circuito economico-finanziario capitalistico.

Oppure, d’altro canto, non è difficile vedere come il progressivo peggioramento qualitativo della risorsa acqua in Italia non è dovuto semplicemente a una qualche elemento di incuria, seppur imperdonabile.

ACCANTO A CIÒ, all’indomani del referendum 2011, la strategia di privatizzazione del servizio idrico è ripresa con forza. Da alcuni anni in qua, essa si è venuta costruendo affidando nella sostanza alle 4 «grandi sorelle» – le multiutilities quotate in Borsa Iren, A2A, Hera e Acea – il compito di procedere a progressive aggregazioni, con l’obiettivo di gestire in una logica privatistica la gran parte dei servizi pubblici locali del Paese.

Con i risultati che già oggi sono sotto gli occhi di tutti, in particolare il fatto che esse orientano la propria azione al sostegno del corso azionario ed esprimono la loro «vocazione» primaria nel produrre utili e distribuire dividendi ai soci privati e pubblici.

Basta guardare gli andamenti di bilancio di queste 4 grandi multiutilities per rendersi conto di ciò: in termini cumulati, dal 2010 al 2016, esse hanno complessivamente realizzato utili per 3 miliardi e 257 milioni di euro e hanno distribuito dividendi per quasi 3 miliardi di €, più del 90% degli utili!

IN ALTRI TERMINI, si può dire che esse danno un buon contributo alla disastrosa situazione che registra il servizio idrico per quanto riguarda la dispersione idrica e il mancato ammodernamento delle reti.

L’Istat parla di perdite, misurate come rapporto percentuale tra volume totale dell’acqua dispersa e volume immesso nelle reti, che, con riferimento ai comuni capoluoghi di provincia, si attesta nel 2015 al 38,2%, addirittura in crescita rispetto al 35,6% del 2012.

Dal canto suo, l’Arera ( l’Autorità nazionale di regolazione per energia, reti, ambiente), all’epoca Aeegsi, stima che nel 2015 il 36% delle condotte risulta avere un’età compresa tra i 31 e i 50 anni e il 22% supera i 50 anni. A fronte di tale situazione, non si può certo rispondere invocando altri incrementi tariffari, una ricetta socialmente iniqua e insostenibile e non in grado di funzionare, visto che andrebbero più a rimpinguare utili e dividendi, piuttosto che a finanziare gli investimenti.

C’È INVECE BISOGNO di uno sguardo largo e di una progettualità concreta, incentrati sul risparmio della risorsa, eliminazione degli usi impropri dell’acqua potabile, a partire dai settori che più consumano acqua, l’agricoltura e l’industria, prevenzione e repressione dei fenomeni di inquinamento dei corpi idrici e delle acque sotterranee.

Qui si inserisce a pieno titolo la proposta, avanzata da molto tempo dal Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua, di costruire un Piano straordinario di investimenti volto all’ammodernamento della rete idrica, magari come capitolo di un ben più vasto programma di rilancio degli investimenti pubblici riguardante la tutela del territorio e dell’ambiente.

Si tratta di realizzare un’accelerazione forte negli investimenti nel servizio idrico, ricorrendo anche alla fiscalità generale e ad una nuova impostazione di finanza pubblica, e utilizzare per questo sforzo straordinario anche i profitti delle aziende del servizio idrico, che assommano a diverse centina di milioni di euro annui, ricorrendo ad un intervento legislativo apposito.

Non si deve intendere quest’ultimo ragionamento come una sorta di ipotesi provocatoria, bensì come la conseguenza di ricondurre ad una finalità pubblica risorse indebitamente sottratte alla collettività e utilizzate a fini privatistici, anche come premessa per dispiegare progressivamente uno dei nostri obiettivi di fondo, e cioè la ripubblicizzazione del servizio idrico.

Infine, non va dimenticato che la messa in campo del Piano straordinario di investimenti produrrebbe anche un incremento di circa 200.000 posti di lavoro nei prossimi anni, svolgendo un’utile funzione anticiclica rispetto alla crisi economica che tuttora perdura.

FORSE VARREBBE la pena che anche la politica si misurasse con questi ragionamenti e con questi contenuti. Dopo una campagna elettorale incentrata su slogans e promesse e oggi alle prese con il tema del governo tutto declinato in termini di schieramento, la politica dovrebbe tornare ad occuparsi di pensieri lunghi, progetti precisi e di radicamento nelle condizioni concrete della vita delle persone. E ciò, a maggior ragione, per quel campo di alternativa alle scelte dominanti, cui tocca ricominciare quasi da capo con pazienza e coraggio.

* Forum Italiano Movimenti per l’Acqua