La scorsa domenica, pur avendo subito una sconfitta alle urne, Alberto Fernández ha avuto motivi per festeggiare. Nonostante l’opposizione di Juntos por el Cambio (JxC) abbia vinto quasi ovunque nel paese, il divario non è stato eccessivo, e ciò permetterà al partito di governo di rimanere la forza maggiormente rappresentata sia alla Camera dei Deputati che al Senato, sebbene a partire dal 10 dicembre, quando i legislatori eletti entreranno in carica, il Frente de Todos (FdT) non avrà un proprio quorum ma dovrà affidarsi al sostegno degli alleati.

NEL VOTO per la scelta dei deputati nazionali, che ha avuto luogo in tutte le province del paese e che comporterà il rinnovo della metà dei 257 seggi, Juntos por el Cambio (JxC) ha ottenuto il 42,5% delle preferenze, il Frente de Todos (FdT) il 33,9%, e il resto dei voti si è distribuito tra diverse forze, a seconda del distretto. Se questo risultato verrà confermato nel conteggio finale – di solito non ci sono grandi cambiamenti – il FdT continuerà a essere il primo partito alla Camera – pur senza un proprio quorum – con 118 seggi, seguito da JxC con 116.
Per quanto riguarda il Senato, ogni due anni gli argentini sono chiamati a votare per il rinnovamento di un terzo dei seggi, ecco perché l’elezione di domenica non si è tenuta in tutto il paese ma solo in 8 delle 24 province in cui è diviso il territorio nazionale. I risultati in questo caso hanno visto l’opposizione ottenere il 47,9% dei voti, mentre il partito di governo ha ottenuto il 28,1%. In termini di rappresentanza in Senato, questo si traduce in 35 seggi per il FdT – che perde il quorum che aveva – e 34 per JxC, che nei prossimi due anni potrà rendere più complicato il lavoro della maggioranza. I tre seggi rimanenti, che completano i 72 della camera, sono andati a partiti locali di rappresentanze provinciali.

NEI BUNKER – cioè le sedi in cui i partiti attendono lo spoglio dei voti – la notte di domenica è trascorsa tra i festeggiamenti. Sul palco di JxC, con Mauricio Macri, i suoi due alfieri vincitori: l’ex governatrice della provincia di Buenos Aires, María Eugenia Vidal, che ora sarà Deputata nazionale in rappresentanza della città di Buenos Aires, e Diego Santilli, che ha lasciato la carica di vicegovernatore della capitale per competere nella provincia di Buenos Aires, distretto per il quale ora occuperà un seggio alla Camera. «C’è un chiaro messaggio al governo e speriamo che questa notte lo ascolti davvero. La maggioranza ha detto: ’Così no’», ha commentato Vidal.

Da parte sua, il FdT una volta conosciuti i risultati ha tirato un sospiro di sollievo. Un clima di vittoria nel quale ha colpito l’invito di Fernández a «festeggiare» con una mobilitazione prevista per mercoledì 17 novembre. Il Presidente ha chiamato al dialogo i settori dell’opposizione e ha annunciato che nella prima settimana di dicembre invierà un disegno di legge con il “Programma economico pluriennale per lo sviluppo sostenibile”. Il programma, ha affermato Fernández, includerà le «migliori intese che il governo ha raggiunto con lo staff del Fmi» ma «senza rinunciare ai principi di crescita economica e inclusione sociale» del paese. I dettagli dell’iniziativa da discutere in Congresso devono ancora essere chiariti.

L’ELEZIONE ha anche mostrato che in questa epoca non vi è margine per le forze politiche che cercano una posizione di equidistanza tra i due grandi spazi nazionali chiaramente differenziati in termini ideologici. Il terzo e quarto posto sono stati infatti occupati dai candidati del Frente de Izquierda Unidad (FIT-U) e dai sedicenti “libertari”, che professano un liberismo economico estremo. Anche questi due settori, rappresentativi di posizioni inconciliabili tra loro, hanno festeggiato avendo ottenuto 4 seggi ciascuno a livello nazionale.

L’affluenza, anche se superiore a quella delle primarie – si è passati dal 66% di settembre al 71% di domenica scorsa – è stata tra le più basse dal ritorno alla democrazia nel 1983. E sebbene le legislative di metà mandato siano in genere meno popolari delle presidenziali, la partecipazione è stata comunque bassa per gli standard storici dell’Argentina, paese in cui il voto è obbligatorio. Anche se tutti gli schieramenti, a modo loro, si considerano vincitori, la bassa affluenza – in tempi di completo allentamento dei protocolli Covid visto il calo del numero di casi – richiederà un’analisi più ampia da parte di tutti i partiti e avrà sicuramente un impatto sugli aggiustamenti interni dei due principali spazi politici argentini.

traduzione di Gianluigi Gurgigno