Per Evo Morales, già al potere dal 2005, la conquista del quarto mandato presidenziale appare quasi dietro l’angolo: se, alle elezioni che si tengono oggi in Bolivia, superasse, come sembrano indicare i sondaggi, la soglia del 40% dei voti con dieci punti di vantaggio sul secondo classificato – con certezza, l’ex presidente Carlos Mesa -, otterrebbe la vittoria già al primo turno.

Per tenersi la presidenza, malgrado la Costituzione del 2009 preveda solo due mandati consecutivi, Morales non ha risparmiato sforzi, prima giocando la carta del referendum sulla possibilità di una sua ricandidatura – da lui perso il 21 febbraio del 2016 con il 48.7% dei sì contro il 51,3% dei no – e poi presentando ricorso al Tribunale costituzionale, che, tra le furiose proteste dell’opposizione, ne ha autorizzato nuovamente la candidatura come diritto umano garantito dai trattati internazionali.

Ciò spiega, però, l’insidia rappresentata per Morales dalle elezioni di oggi: se gli mancassero i voti necessari, al ballottaggio tutta l’opposizione si ricompatterebbe, e il rischio di un altro “21 febbraio” sarebbe altissimo.

Di certo, prima di lui, la Bolivia era il paese più povero e disprezzato della regione, in cui il 40% della popolazione era analfabata, più della metà sopravviveva con un dollaro al giorno, più del 60% dei bambini con meno di cinque anni soffriva di denutrizione. Un paese i cui abitanti, emigrando in cerca di migliori condizioni di vita, si vergognavano di rivelare la propria nazionalità, tanto era bassa la loro autostima. Con Morales, non solo l’economia è cresciuta a una media del 5% l’anno, ma la popolazione ha anche recuperato la sua dignità e la sua fierezza.

Tutti gli indicatori parlano di ciò che la rivista Forbes ha definito «il miracolo economico dell’America Latina»: il Pil è salito dai 9,5 miliardi di dollari nel 2005 ai 37,7 attuali, le riserve internazionali sono le più alte dell’America Latina, il turismo ha conosciuto uno sviluppo del 143%. E, d’altro canto, l’analfabetismo è stato vinto, l’indice di povertà passato è dal 60,6% al 36,4% e quello di povertà estrema dal 38% al 15%, la speranza di vita è aumentata da 64 a 71 anni.

Tale “miracolo” ha avuto tuttavia un costo altissimo. Per quanto siano molti i cittadini che hanno beneficiato in vario modo della gestione statale dello sfruttamento di risorse naturali, l’estrattivismo galoppante ha comunque determinato l’espulsione delle comunità rurali, l’avvelenamento delle fonti d’acqua, la distruzione del suolo, la deforestazione, l’indebolimento dell’autonomia territoriale indigena.

E a cosa abbia condotto tale politica lo hanno mostrato bene gli oltre 2 milioni di ettari di Amazzonia boliviana andati distrutti dalle fiamme, come logica conseguenza di leggi e decreti mirati ad ampliare la frontiera agricola e i pascoli per l’allevamento. Con tanto di autorizzazione degli «incendi controllati» (il cosiddetto chaqueo) per bruciare la vegetazione al fine di preparare il terreno per colture e pascoli.