Arrivano alla spicciolata le reazioni governative all’incontro del primo luglio tra Procura di Roma e Procura generale egiziana sulla morte di Giulio Regeni, chiuso con un nulla di fatto.

Dopo il premier Conte, ieri ne ha parlato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che con l’Egitto di al-Sisi aveva avuto a che fare anche nel precedente esecutivo, in qualità di ministro dello Sviluppo economico.

«È importante avere un ambasciatore al Cairo – ha detto ieri – Comprendiamo il dolore della famiglia Regeni, ma come uomo dello Stato dico che stiamo facendo il massimo. E la ricerca della verità è un obiettivo chiaro che abbiamo davanti». Qualche ora prima Di Maio aveva discusso del silenzio del Cairo con l’ambasciatore egiziano a Roma, a cui – ha riportato – sono stati chiesti «ulteriori approfondimenti».

In mattinata a tenere banco era stato l’incontro a Montecitorio tra il primo ministro Conte e il presidente della Camera, Roberto Fico, tra i più impegnati nella battaglia per la verità, tanto da aver deciso nel 2019 lo stop dei rapporti con il parlamento egiziano. Il giorno prima Fico aveva descritto la scena muta degli inquirenti egiziani come «un cazzotto all’Italia».

Il confronto è durato circa mezz’ora, con fonti interne che parlano di discussione serena per smentire le voci di un presidente della Camera adirato per la piega che la cooperazione giudiziaria continua a non prendere, nonostante l’Italia incrementi i rapporti economici e commerciali con Il Cairo.

Non perde occasione per smentirsi, invece, Matteo Salvini. Il leader della Lega ieri a Radio Radicale, si è augurato che «non prevalga l’interesse economico su altri ragionamenti».

Da ministro degli Interni, nel precedente governo Conte, Salvini aveva archiviato il caso come «questione di famiglia»: «Per noi, l’Italia – disse nel giugno 2018 – è fondamentale avere buone relazioni con un Paese importante come l’Egitto».