Tre quarti d’ora di ringraziamenti – a partire da Giorgia Meloni, s’intende – e tre quarti d’ora per provare a spiegare come funziona – senza minimamente riuscirci. La presentazione della nuova piattaforma «Sistema informativo di inclusione sociale e lavorativa» – felicissima locuzione che ha come acronimo il simpatico Siisl – si è tramutata in un patetico tentativo della ministra Marina Calderone di sostenere che la cancellazione del Reddito di cittadinanza porterà solo benefici ai poveri e ai disoccupati del Belpaese che domani primo settembre dovranno avere a che fare con uno strumento informatico assai complesso e con un numero senza precedenti di nuovi acronimi impronuciabili.

Marina Calderone
«Abolito il Reddito di cittadinanza ci sarà una bomba sociale? Assolutamente no, i numeri sono totalmente gestibili. Ma di numeri oggi non ne do nessuno»

PER RISPONDERE ALLE PIAZZE del sud che ribollono di proteste, Calderone ha dedicato il momento più pregnante del suo lungo sproloquio: «A chi parla di bomba sociale io rispondo: no, assolutamente no. I numeri ci dicono che la situazione è assolutamente gestibile».

Quali numeri? «Oggi non daremo nessun numero», si corregge subito Calderone. Che continua nel suo lungo elenco di gaffe ringraziando tutte le istituzioni possibili tranne i Comuni, cioè quelle che dovrebbero prendere in carico buona parte degli utilizzatori della piattaforma. E ancora usando frasi del genere: «Questo paese non può permettersi che ci siano persone che non lavorano per 27 anni», con un astruso calcolo.

Dalle due ore di conferenza stampa l’unica cosa chiara è che dall’abolizione del Reddito di cittadinanza si avvantaggeranno certamente le agenzie private per il lavoro, la somministrazione e la formazione, non a caso presenti e parlanti alla presentazione con i presidenti delle associazioni di categoria: Assolavoro e Assoform.

«OGNI UTILIZZATORE della piattaforma dovrà scegliere tre agenzie per il lavoro», scandisce Calderone prima di ricordare anche i Centri per l’impiego pubblici gestiti dalle Regioni, che dunque diventano secondari nello schema del governo Meloni per le politiche attive e la ricerca di lavoro.

Nonostante l’impegno della neo commissaria Inps Micaela Gelera e del direttore generale Vincenzo Caridi, capire come funzionerà la piattaforma è stata un’impresa per gli addetti ai lavori, figuriamoci per i malcapitati che da luglio hanno perso il reddito di cittadinanza.

IL COSIDDETTO «PERCORSO del cittadino (Sfl)» appare come arduo come scalare lo Stelvio con una Graziella e la sua «architettura» consta di ben diciannove elementi e istituzioni che si interfacciano fra loro.

Il problema è che, sebbene «il primo settembre non sarà un click day» – come si affretta a precisare la ministra Calderone – senza la «registrazione», «compilazione curriculum vitae», la «sottoscrizione del patto di attivazione digitale (Pad)» e il «patto di servizio personalizzato (Pds)» per «l’attivazione del programma di politiche attive», nessun povero e disoccupato potrà accedere «all’erogazione del beneficio» e cioè all’assegno da 350 euro mensili per un massimo di 12 mesi del Supporto alla formazione e il lavoro (Sfl) che sostituisce il Reddito di cittadinanza per chi, dal governo Meloni, viene considerato occupabile: «tutti i soggetti dai 18 ai 59 anni con un valore dell’Isee familiare non superiore a 6 mila euro annui, 5 anni di residenza in Italia, patrimonio immobiliare e mobiliare sotto 6 mila euro, aventi famiglie senza disabili, minori o in condizioni di svantaggio presi in carico dai servizi socio-sanitari» dei Comuni (omessi ancora dalle virgolette del governo).

Quanti siano queste persone per cui dal primo settembre sarà vitale riuscire a fare tutte queste complesse operazioni sulla piattaforma non è dato sapere.

LE STIME DEL MINISTERO del Lavoro a luglio parlavano di 112 mila persone (su 180 mila che avevano perso il Reddito di cittadinanza) e di ulteriori 32 mila ad agosto ancora da scremare fra occupabili e presi in carico dai servizi assistenziali sempre dei Comuni. Stime più attendibili e meno ottimistiche parlano di 229 mila le famiglie interessate dallo stop fino a fine anno pari a 350 mila persone, a cui dal primo gennaio si aggiungeranno altre 350 mila persone: in totale circa 600 mila poveri non avranno più un sussidio in Italia.

Detto questo, è impensabile che, se anche il numero fosse questo, specie al Sud i malcapitati troveranno corsi di formazione e ancor meno offerte di lavoro.

La promessa di Calderone è solenne: «Ogni persona sarà contattata dalle Agenzia private». Peccato che se un povero disoccupato non troverà un corso o non accetterà una delle improbabilissime proposte di lavoro, perderà il Supporto dei 350 euro immediatamente, mentre nessuna sanzione è prevista per le agenzie private in caso di inadempienza alle promessa di Calderone.

Per loro solo centinaia di migliaia di nuovi «clienti» e proventi assicurati per i corsi e i contratti (quasi tutti precari) fatti sottoscrivere.

Dal primo gennaio poi partirà l’Assegno di Inclusione (Adi): «non meno di 480 euro a famiglia per i non occupabili.
A rispondere al quadro idilliaco tracciato da Calderone, è la Cgil: «La verità è che il governo, nella sua foga ideologica, sta lasciando le persone sole nella loro disperazione», afferma la segretaria confederale Daniela Barbaresi.