La Commissione europea ha multato Apple per 1,8 miliardi di euro e ha contestato alla corporation americana l’abuso di posizione dominante sul mercato dello streaming musicale attraverso il suo App Store. Inoltre ha ordinato all’azienda di rimuovere quanto impedisce a Spotify e ai servizi di streaming musicale di mostrare agli utenti altre opzioni di pagamento al di fuori dell’App Store. «Per un decennio Apple ha impedito agli sviluppatori di informare i consumatori sui servizi musicali alternativi e più economici disponibili al di fuori dell’ecosistema Apple – ha affermato la vicepresidente della Commissione europea Margrethe Vestager – Questo è illegale in base alle norme Antitrust dell’Ue».

PER APPLE la multa è senza prove, l’unico beneficiario è Spotify e presenterà un ricorso. In pratica, è uno scontro tra monopoli. «La decisione è stata presa nonostante l’incapacità della Commissione di scoprire prove credibili di danni ai consumatori e ignora la realtà di un mercato fiorente, competitivo e in rapida crescita». «Oggi Spotify detiene una quota del 56% del mercato europeo dello streaming musicale – più del doppio di quella del suo concorrente più vicino – e non paga nulla ad Apple per i servizi che hanno contribuito a renderli uno dei marchi più riconoscibili al mondo. Gran parte del loro successo è dovuto all’App Store, insieme a tutti gli strumenti e la tecnologia che Spotify utilizza».

SPOTIFY ha sostenuto invece che la sanzione «invia un messaggio potente: nessuna azienda, nemmeno un monopolio come Apple, può esercitare un potere abusivo per controllare il modo in cui altre aziende interagiscono con i propri clienti». La sanzione di ieri nasce da un esposto di Spotify dell’11 marzo 2019 contro un modello di tassazione «insostenibile».

L’AZIONE della Commissione Europea è l’ultima di una serie contro l’App Store. La maggior parte delle controversie è dovuta al fatto che Apple richiede che le app utilizzino il suo servizio di pagamento in-app per le vendite. Il servizio richiede una commissione del 30% su ogni transazione, una commissione che secondo molti sviluppatori è eccessiva.

IL PROBLEMA non è solo europeo. Anche l’autorità di regolamentazione in Corea del Sud ha approvato leggi o ordini per costringere Apple a aprirsi a servizi di pagamento alternativi. In questo paese Apple permette l’uso di servizi alternativi ma applica una commissione del 27%. Una soluzione che le autorità di regolamentazione hanno contestato.

LA MULTA è arrivata tre giorni prima dall’entrata in vigore del Digital Markets Act, il nuovo regolamento della Commissione Ue che interesserà giganti come Alphabet (Google), Amazon, ByteDance (Tiktok), Meta (Facebook), Microsoft e appunto Apple. Quest’ultima ha sostenuto che darà tre opzioni agli sviluppatori. pagare una commissione ridotta del 10% o del 17% sulle transazioni di beni e servizi digitali; usare l’App Store pagando una commissione aggiuntiva del 3%; Le app iOS distribuite dall’App Store e/o da un marketplace alternativo pagheranno 0,50 euro per ogni prima installazione annuale oltre la soglia di 1 milione.

LA MULTA comminata ieri è la sanzione più severa contro Apple dal 2016, quando la Commissione europea ordinò all’azienda di consegnare all’Irlanda 13 miliardi di euro per tasse non pagate. Il processo è ancora in fase d’appello ed è diventato famoso perché né Apple – e lo si comprende – né i governi irlandesi hanno inteso rispondere alle ingiunzioni di Bruxelles. Nel caso irlandese, infatti, ciò equivarrebbe a rinunciare alle favorevoli condizioni fiscali usate per attrarre le multinazionali al fine di creare posti di lavoro. Tuttavia questo significa rinunciare a pagare i servizi per i cittadini. A simili paradossi arriva il dumping fiscale in Europa. E a simili vette può arrivare la potenza del capitalismo digitale.

SULLA CONCORRENZA è in corso una battaglia molto dura e non scontata. In realtà, non è semplice incassare le multe. I ricorsi delle aziende nei tribunali europei possono allungare i tempi. Come sta accadendo a Google, per esempio. In totale, è stata multata per otto miliardi di euro per abuso di posizione dominante del sistema operativo Android, per il servizio di comparazione di prodotti Google Shopping e per quello di pubblicità online AdSense.