Avrebbe dovuto essere una visita privata: alla ricerca dei suoi trascorsi liguri a Favaro, dove sono nati i nonni. Ma l’agenda dell’ex presidente uruguayano José Alberto Mujica Cordano si è riempita subito. E “Pepe” ha avuto ben pochi momenti per godersi l’alternanza di sole e pioggia di questi ultimi giorni, insieme alla moglie Lucia Topolansky. Una coppia inossidabile di dirigenti politici dai trascorsi guerriglieri, rimasti insieme dai tempi in cui i Tupamaros ispiravano il cuore dei giovani, nel Novecento delle grandi speranze.

Il Movimento di liberazione nazionale Tupamaros è stato un’organizzazione di guerriglia urbana di orientamento marxista-leninista che ha agito in Uruguay tra gli anni ’60 e ’70. Fondatori e dirigenti – da Raul Sendic a Mujica, a Topolansky a Mauricio Rosencof – hanno pagato con lunghi anni di carcere, ostaggi del regime militare che ha oppresso il paese a partire dal golpe del 1973, e che ha concluso il suo ciclo nel 1984, con l’elezione del moderato Julio Maria Sanguinetti.

A Livorno, Pepe ha ricevuto la cittadinanza onoraria dal sindaco pentastellato Filippo Nogarin: «Perché la sua attività tesa alla promozione e all’affermazione dei principi della democrazia e dello sviluppo economico non è mai stata scissa dall’attenzione verso i più deboli, e per lo stile umile che ha saputo mantenere ricoprendo la massima carica dello stato».

Mujica devolve infatti il 90% del proprio stipendio ai poveri e vive in modo frugale. Lui ha ringraziato la città dicendosi «cittadino del mondo» e ha offerto uno dei suoi discorsi diretti e profondi che arrivano al nocciolo senza affidarsi al gergo.

Lo abbiamo incontrato a Roma, nella residenza dell’ambasciatore dell’Uruguay in Italia, insieme a Lucia Topolansky e a Cristina Guarnieri, della casa editrice Eir, infaticabile organizzatrice dei suoi incontri a Roma.

Che idea si è fatto di questa Europa, dell’Italia, della Spagna in odore di cambiamenti e della Grecia ricattata dai poteri forti?

All’origine vi sono problemi che trascendono le scadenze elettorali. I problemi dell’Europa riflettono le contraddizioni di questo sistema che colpisce i settori più deboli. C’è una crisi della domanda perché la gente continua a consumare una infinità di cose inutili, e al contempo una enorme fetta di mondo pieno di povertà che non abbiamo il coraggio di incorporare: il mondo ricco non ha sufficiente generosità solidale per incorporarla nella civilizzazione. Sprechiamo un’infinità di preziose risorse perché il mondo ricco possa consumare cose inutili o frivole. E invece non diamo acqua, scuole, case ai più poveri. E anzi respingiamo i barconi che arrivano nel Mediterraneo, o magari pensiamo di affondarli, impediamo il passaggio dei migranti messicani alla frontiera nordamericana. Li invitiamo a partecipare a una civilizzazione che poi non gli dà il posto promesso. E’ come se ti dicessero: vedi quanto è bello? Ma non è per tutti…. Allo stesso tempo scateniamo problemi su scala planetaria perché non possiamo governarci: ci governa il mercato. Il mondo è globalizzato ma non ha un governo mondiale all’altezza dell’intelligenza scientifica raggiunta, che consentirebbe un’organizzazione generale e una equa distribuzione delle risorse. Siamo in preda a un caos che sta portando al limite la natura: per via di una eccessiva concentrazione della ricchezza. Ti sembra possibile che un manipolo di bei tomi detenga quel che serve al 40% dell’umanità?

E in che direzione ci si dovrebbe muovere per invertire la tendenza?

Dobbiamo imparare a muoverci per il governo della specie e non solo in base agli interessi dei paesi, dei singoli stati, con la consapevolezza che siamo responsabili di un pianeta, di una barchetta che sta andando alla deriva nell’universo. Bisogna avere chiaro che non governano le persone, ma gli interessi del grande capitale finanziario e i suoi ricatti. Abbiamo un’arma più vicina del Palazzo d’Inverno su cui agire, qualcosa di più vicino e potente: le nostre menti e le nostre coscienze. C’è una rivoluzione possibile nella testa di ognuno per costruire una nuova umanità. Dobbiamo agire perché ognuno sia cosciente che il mercato ci toglie la libertà. Non cambiamo il mondo se non cambiamo noi stessi. Per tanto tempo abbiamo seguito una linea tracciata: abbiamo pensato che bastasse prendere il potere, cambiare i rapporti di proprietà e di distribuzione per cambiare l’umanità. Invece, quel che è successo in Unione sovietica ha dimostrato che le cose sono molto più complicate. Oggi dobbiamo puntare di più sulla cultura. Non dobbiamo agire per comandare ma perché le persone diventino padrone di loro stesse.

L’America latina sta cambiando in fretta, e sulla base di governi socialisti o progressisti che spostano i rapporti di potere a favore delle classi popolari.

… Sta cambiando un poco, ci vuole tempo. Dobbiamo sviluppare intelligenza nella gente, i ritorni indietro sono sempre possibili, l’interventismo esterno è sempre latente. Le basi militari Usa sono sempre attive in America latina. Obama è un presidente prigioniero, ostaggio del complesso militare-industriale. Non gli hanno permesso di fare niente. I nostri amici, negli Stati uniti, purtroppo non si trovano nelle fabbriche, ma nelle università, è così dai tempi del Vietnam. Il meglio degli Sati uniti si trova nel mondo intellettuale, il peggio nelle banche e sui banchi del parlamento, ma non bisogna fare di ogni erba un fascio.

Lei ha deciso di prendersi alcuni prigionieri di Guantanamo, mentre continua l’avanzata dell’Isis.

Sai com’è, no? Solo chi è stato tanto tempo in carcere come noi può capire… Oggi invece si pensa di risolvere i problemi dell’umanità e i propri costruendo più carceri, chiedendo più carcere e più bombe. Noi, un piccolo paese, abbiamo indicato che si può prendere un’altra strada. A cosa sta portanto la balcanizzazione del mondo? Hai visto come hanno ridotto la Libia: una barbarie. Io non voglio difendere Gheddafi, ma almeno prima c’era uno stato ordinato, ora c’è un disastro… Sono stato negli Stati uniti. C’è gente in carcere da 34 anni senza mai aver versato una goccia di sangue, solo per aver rivendicato l’indipendenza del proprio paese come il portoricano Oscar Lopez. Ma agli Stati uniti interessa di più la libertà di un altro Lopez…

Il golpista venezuelano?

Precisamente…

A proposito di pericoli e di ritorni indietro. Lei ha dichiarato a suo tempo: «Abbiamo bisogno del Mercosur come del pane». Ora, invece, il suo successore, Tabaré Vazquez dice che bisogna «flessibilizzare» il Mercosur. Sta strizzando l’occhio alle alleanze proposte dagli Usa? In diverse occasioni lei non ha lesinato critiche alla nuova gestione.

…Penso di no, che non si saranno ritorni indietro. Il fatto è che oggi il Mercosur è un po’ provato, non avanza, non fa le cose che si era prefisso. Soprattutto, Brasile a Argentina non hanno trovato un’intesa, quindi ora abbiamo il problema di diversificare le relazioni. La presenza della Cina è sempre più forte, da diversi anni questo ha portato risultati positivi, ma dobbiamo fare attenzione, prima parlavamo di dipendenze, di debito, il problema della sovranità va visto da diverse prospettive.

Tutti, in America latina, la vogliono come mediatore dei conflitti: il governo colombiano e la guerriglia marxista, la Bolivia nel contenzioso con il Cile. E lei accetta...

La guerra preme dappertutto, i conflitti facilmente emergono, lo sviluppo delle nuove tecnologie complica lo scenario. Eppure sappiamo di essere interdipendenti, il progresso e la tecnica non possono ipotecare la convivenza, il vivere in consessi umani. Dobbiamo imparare a vivere con le differenze, trovare un altro modo di comunicare, siamo di fronte a un altro mondo in cui gli stati nazione e le forme tradizionali della politica non riescono a dare risposte adeguate. Si sono scatenate forze di cui non troviamo più le briglie, a partire da quelle del capitale finanziario e degli “avvoltoi” che si avventano sulle prede quando cercano la propria sovranità. Però mi fa più paura quel che non succede di quel che succede… Per esempio, c’è molta gioventù disoccupata, che ora si sta rassegnando a vivere col reddito minimo, che si sta addormentando… e non lotta.


A Roma con «La felicità al potere»

La voce di Pepe Mujica e la passione di un piccolo gruppo editoriale – la Eir – hanno dato vita a un libro dedicato all’ex Tupamaro-presidente, che parla dell’Uruguay ma anche del nostro presente. S’intitola La felicità al potere, José “Pepe” Mujica, a cura di Cristina Guarnieri e Massimo Sgroi.

libro felicità potere mujica
Gli autori lo hanno presentato ieri a Roma, alla presenza di Pepe, di Milena Gabanelli e di Saviano. Le reti sociali hanno accompagnato l’annuncio dell’evento con il consueto plauso per Mujica, ma con un coro di critiche per la posizione assunta da Saviano sul Venezuela bolivariano. E in molti hanno voltato pagina alla prefazione di Omero Ciai che apre il volume (la postfazione è affidata a Donato Di Santo, ex Sottosegretario agli esteri con delega per l’America latina nel secondo governo Prodi).

Il volume offre però un’utile tavola dei problemi, contiene i discorsi più importanti dell’ex tupamaro, un’intervista esclusiva e una biografia romanzata.

Il prologo al libro di Pepe Mujica traccia il quadro e interroga il nostro continente: il «debito pendente» della sinistra, del movimento popolare, degli intellettuali europei e di quelli italiani «nei confronti dei militanti di tutto il mondo». In quale altro luogo – dice Mujica – esiste tanta intelligenza accumulata, a livello d’economia, di ricerca sociologica, di politica e di movimenti sociali come in Europa? Quali altri Paesi possono essere laboratori migliori per avanzare nella generazione di altre forme di produzione, di altre forme di convivenza che superino lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo? Quali altri Paesi possono essere migliori di quelli in cui lo sviluppo economico e sociale ha raggiunto livelli tanto alti come nella maggior parte dei Paesi d’Europa?

L’America latina sta provando a fare la sua parte, «ma abbiamo bisogno delle vostre idee, del vostro impegno, del vostro desiderio di cambiare le condizioni materiali e ideali di vita di questa umanità». Ge. Co.