Ci vuole un gran coraggio a sostenere – come fa Matteo Salvini – che sulle pensioni la manovra ha «fermato la legge Fornero». Senza parlare della vera beffa subita da oltre 4,3 milioni di pensionati che erano pronti finalmente a godersi la meritata «indicizzazione» piena all’inflazione e che invece si vedranno l’assegno decurtato pesantemente: «una perdita media pro-capite di oltre 1.200 euro all’anno», calcola lo Spi Cgil.

A confutare la frase di Salvini basta citare le «fonti di palazzo Chigi» – il testo delle legge di Bilancio naturalmente non c’è ancora – che spiegano come quella «norma da ambo secco» che risponde al nome di Quota 103 – ed è l’unica piccolissima deroga al ritorno in vigore tout court della riforma Fornero – prevede che «chi ha i requisiti per l’accesso, ovvero almeno 62 anni di età e 41 di contributi, a fine 2022 dovrà attendere per l’uscita il mese di aprile 2023 se lavoratore privato e il mese di agosto se lavoratore pubblico». Dunque, grazie all’altra norma usata come al solito per ridurre i costi che risponde al nome di «finestra mobile», per tre mesi per i lavoratori privati e per sei mesi per i pubblici, torna in pieno la riforma Fornero come per tutti i milioni di lavoratori e di pensionandi che non fanno parte della platea stimata in soli 45 mila persone che potranno usare Quota 103, con la certezza che saranno molti di meno, come avvenuto per il flop Quota 100 – l’hanno usata un terzo del milione previsto – e Quota 102 – usata da soli 8 mila lavoratori rispetto ai 16 mila previsti.

Questa piccola misura dovrebbe costare 510 milioni per il primo anno, 1.528 per il secondo e 498 per il terzo. La platea stimata degli interessati è di 48 mila persone.

Per finanziarla assieme al misero aumento delle pensioni minime – pari a 46 euro mensili – il governo ha però deciso di attingere sempre al capitolo previdenziale, risparmiando sulla perequazione sopra 4 volte l’assegno sociale: circa 2.100 euro lorde, 1.700 nette.

Dopo anni di decurtazioni, nel 2023 finalmente le pensioni avrebbero avuto l’adeguamento pieno previsto inizialmente dal governo Prodi. L’Istat lo aveva fissato rispetto all’inflazione al 7,3%: si trattava di 39 euro sull’assegno sociale da 525 euro, fino ai 100 previsti per un assegno mensile lordo da 1.587 a 1.700, alzandosi leggermente fino ai 130 per le pensioni sopra i 2.200 euro lordi.
La buona notizia è durata lo spazio di due settimane. Il governo ha deciso di tagliarlo con un contentino sulle pensioni minime. La rivalutazione sarà del 120% per l’assegno sociale – 46 euro in più al mese che lo fanno passare da 525 a 571 euro. Fino a quattro volte il minimo la rivalutazione sarà del 100%, ma poi «man mano che la pensione aumenta, l’aumento diminuisce», ha scandito Meloni. Il taglio non è ancora stato definito precisamente. Dovrebbe scendere al 90% tra quattro e cinque volte il minimo e al 75% per le pensioni sopra le cinque volte il minimo, fino al 35% sulle pensioni superiori a 10 volte il minimo: 6 mila euro lordi.

Lo Spi Cgil stimando «una perdita media di oltre 1.200 euro all’anno» non ha neanche utilizzato lo scenario peggiore rispetto alla decurtazione: dipenderà molto dal fatto se il taglio avverrà sugli scaglioni o sull’intero importo. La certezza è invece sul numero di pensionati a cui verrà decurtato l’assegno: 4,3 milioni, pari ad oltre un terzo degli 11,2 milioni di pensioni di vecchiaia.
«Il governo si appresta a compiere l’ennesimo danno ai pensionati utilizzandoli come bancomat per recuperare risorse e negando loro la possibilità di recuperare parte del loro potere d’acquisto. Una scelta iniqua e scellerata, oltretutto assunta senza alcun confronto con i sindacati», attacca lo Spi Cgil.

L’aumento dell’assegno sociale è poi chiaramente una misura richiesta da Forza Italia per artigiani e commercianti che hanno in gran parte evaso il versamento dei contributi e a fine carriera si trovano con pensioni minime, mentre i lavoratori dipendenti che hanno sempre avuto il prelievo dei contributi in busta paga, si troveranno l’assegno tagliato magari dopo 40 anni e più passati in fabbrica.