Mary Peltola, una nativa American della tribù Yup’ik, le cui terre ancestrali si affacciano sul mare di Bering, sarà la nuova rappresentante dell’Alaska al Congresso.

Peltola ha battuto due rivali repubblicani, Nick Begich e Sarah Palin, ex governatrice e candidata a vice presidente nel 2008 accanto John McCain (sul ticket Gop poi sconfitto da Obama e Biden).

LA VITTORIA nelle elezioni suppletive per assegnare il seggio tenuto per 49 anni dall’inamovibile Don Young, anche lui repubblicano, morto in un incidente aereo sei mesi fa, manda in parlamento una di una manciata di nativi nella storia, affiancandola alla ministra per il territorio Deb Haaland (Pueblo del New Mexico) nominata da Biden. Peltola è stata deputata nel congresso dell’Alalska, giudice tribale e agente della Forestale.

Una vittoria significativa per i democratici tenuto conto che lo Stato (un unico collegio uninominale da un milione e settecentomila km² per poco più di 300mila abitanti) è una roccaforte conservatrice che dalla sua fondazione nel 1959 ha compattamente votato ogni candidato presidenziale repubblicano cominciando con Richard Nixon fino a Donald Trump.

Vero è che l’elezione ha previsto una complicata corsa a tre (Peltola, Palin e Begich) con preferenze a scalare e seconde scelte sommate in automatico in fase di ballottaggio.

Peltola alla fine ha avuto agevolmente la meglio in uno Stato che due anni fa Trump aveva vinto con 10 punti di scarto – prima rappresentante democratica dello Stato dal 1972 e prima nativa settentrionale di sempre al Congresso.

IL MARGINE di vittoria è il maggiore registrato a oggi in una mezza dozzina di elezioni speciali ad aver favorito i democratici da quando la Corte suprema ha abrogato il diritto all’aborto.

E come il referendum per riaffermare il diritto a interrompere la gravidanza in Kansas, è una brutta notizia per i repubblicani: ribalta la loro egemonia in Stati considerati inespugnabili.

L’allarme sull’aborto e le severissime sanzioni varate in Stati di destra (in Texas un medico rischia in teoria l’ergastolo e 100mila dollari di ammenda per procurato aborto) sembrerebbero aver smosso qualcosa di profondo nell’elettorato al punto da rimettere forse in discussione la «rimonta» repubblicana nelle parlamentari di novembre, fino a poco fa data per scontata.

Indignazione per un fondamentale diritto perso in metà del paese, abbinata ad una serie di recenti vittorie per l’agenda Biden (su clima, infrastruttura, condono di prestiti studenteschi) hanno reso assai più combattuta del previsto la stagione elettorale che fino a poche settimane fa la maggior parte degli analisti assegnavano ai repubblicani. Allo stato attuale invece i democratici potrebbero tenere il senato e minimizzare le perdite alla camera.

L’ELEZIONE di Peltola è significativa inoltre per come vi ha concorso una doppia candidatura che ha diviso i voti repubblicani. Nel ballottaggio finale un numero sostanziale di repubblicani ha preferito la democratica a Sarah Palin, fortemente sostenuta da Trump.

Nelle primarie tenute negli ultimi mesi in molti Stati in vista delle mid-term, l’ex presidente ha condotto una campagna mirata a eliminare candidati repubblicani moderati a favore di una scuderia di trumpisti doc, spesso per punire in modo esemplare esponenti Gop ritenuti non sufficientemente leali alla corrente Maga e per riaffermare il proprio potere all’interno del partito.

In generale i candidati targati Trump hanno prevalso nelle primarie repubblicane con campagne estremiste improntate al complottismo e alla big lie sulle «elezioni rubate». Se questo ha stretto ulteriormente la presa di Trump sul Gop, non è chiaro se gli oltranzisti possano replicare le vittorie nel campo aperto delle generali d’autunno.

L’ALASKA sembrerebbe confermare il rischio della sterzata a destra – e della data di scadenza di alcune vedettes del populismo. Parliamo in particolare di Palin, ripescata da Trump per assicurare il fronte settentrionale e che sulla carta sembrava un colpo sicuro.

Già governatrice dello Stato, madrina del Tea Party e antesignana dello stile politico e del populismo «rustico» ripreso poi proprio da Trump, Palin ha una elevata visibilità mediatica, un’immagine che spazia dalla caccia grossa alla mondanità e una ricca scia di notorietà su rotocalchi, talk show, reality e social.

Non è bastato e la sconfitta «in casa» (per ora: i candidati potrebbero tornare ad affrontarsi già fra due mesi) rappresenta un possibile presagio per lo stesso Trump la cui stella sembra brillare un po’ meno nello stesso partito dove si percepiscono i prodromi di possibili manovre di avvicendamento.