Le parole di Massimo D’Alema hanno avuto il pregio di tagliare il velo d’ipocrisia che aveva finora coperto il dibattito interno di Articolo Uno che faticava ad esplicitarsi. Eppure, la conferenza stampa nella quale Roberto Speranza, insieme ad Arturo Scotto, aveva annunciato l’adesione alle Agorà democratiche lasciava già capire che queste sarebbero state il viatico alla fine del quale ci sarebbe stato un rientro nel Pd. Una sorta di piccola bolognina di Articolo Uno.

Credo che alla base di questa scelta ci sia una analisi diversa di cosa sia il Pd e dei motivi che avevano portato, nel 2017, quello stesso gruppo dirigente ad abbandonare la “Ditta”. Evidentemente alcuni pensano che il renzismo sia stata una parentesi. Certo, una parentesi patologica, ma pur sempre una parentesi. Se questa è l’analisi, è del tutto evidente che oggi, una volta che la parentesi si è chiusa, vengono meno le motivazioni della separazione.

Viceversa, se pensiamo – come io penso e come molti di noi pensano – che il renzismo sia stata la degenerazione di un processo politico nato sbagliato e proprio per i suoi vizi di origine soggetto a quella degenerazione, ne emerge che quello che a sinistra dobbiamo costruire è qualcosa di completamente diverso da un partito leggero, post-ideologico e a vocazione maggioritaria, caratteri fondanti del Partito veltroniano, già presenti al Lingotto di Torino nel 2007.

Ciò che dobbiamo ricostruire è una grande forza della sinistra, un partito ideologico, nel senso di una comunità politica che condivida ideali, valori e principi; che abbia una visione comune del mondo e della società. Un partito organizzato, robusto, strutturato, che abbia i piedi ben piantati nel mondo del lavoro, che voglia dare voce e rappresentanza alla questione sociale, che si ponga il tema del superamento di un modello di sviluppo che acuisce le diseguaglianze ed aumenta le povertà.

È chiaro come questo sia un percorso di lungo periodo. Non lo si fa con un accordo tra gruppi dirigenti; occorre ricostruire una connessione sentimentale con coloro che vogliamo rappresentare. E’ una proposta che va rivolta al Pd, come agli altri soggetti che stanno alla sua sinistra, ma soprattutto va rivolta a tutti i cittadini e, specialmente a chi o non vota più o disperde il voto nella protesta (come succede anche a destra).

A me pare che questa fosse la proposta politica fondativa di Articolo Uno e sono convinto che sia ancora utile provare a realizzarla. Per questo non apprezzo chi oggi parla di “parrocchiette” o “partitini”, cercando di rinchiudere un punto di vista diverso in un piccolo recinto radical-identitario. I partiti non nascono grandi o piccoli, assumono le dimensioni elettorali nella misura in cui il progetto politico di cui sono portatori riesce ad affermarsi e a conquistare consensi nella società.

Se oggi Articolo Uno è ancora un partitino, la responsabilità risiede nel fatto che non vi si è investito a sufficienza. In altre parole, abbiamo deciso di non coltivare l’orto, ma l’aratura del campo largo richiede una forza che non abbiamo. Certo, alcuni solchi sono stati tracciati e se ne vedono i risultati: l’alleanza tra Pd e M5S sta diventando inevitabile, ma se al suo interno manca una componente forte, visibile e riconoscibile della sinistra, non sarà sufficiente per battere la destra.

Il contributo di questa nostra esperienza deve essere quello di aggregare, dentro una coalizione di centro-sinistra, le risorse necessarie perché a sinistra si inizi quel percorso per la ricostruzione di un Partito del Lavoro. Un eventuale rientro nel Pd sarebbe la rinuncia a questa possibilità. Eppure dopo le parole di D’Alema è emersa anche una possibilità più umiliante del quella del rientro nel Pd: e cioè quella di non rientrarci solo perché non ci vogliono.

 

*Segretario Articolo Uno Toscana