Pd e M5S sono costretti a cooperare e destinati a competere. La cooperazione è inevitabile perché nessuno ha la forza sufficiente in parlamento e nel paese per fare un’opposizione efficace. Ma nel futuro c’è la competizione, perché le parti sono disomogenee e la loro alleanza non può che essere tattica. Di questo futuro conflittuale c’è stata un’anticipazione nel corso dell’intervista a Giuseppe Conte di Fabio Fazio. La domanda sembrava fatta per mettere in difficoltà il leader del M5S («Preferisce Trump o Biden?»), ma in realtà era calibrata per dare a Conte l’opportunità di interpretare la sua parte in commedia.

In questo momento, una parte consistente degli italiani è spaventata dalle guerre in corso.

E ancora di più dalla postura bellicista di tanti intellettuali, opinionisti, e anche di qualche politico. Conte si è rivolto a questo pubblico con una risposta che torceva a proprio vantaggio la provocazione lanciata da Fazio. Ha respinto la logica della scelta secca (preferisci il cioccolato o il pistacchio?), ma ha fatto capire che per lui, in questo momento, Trump rappresenta la pace e Biden la guerra.

Grande soddisfazione del conduttore che, sorridendo con aria compiaciuta, si è rivolto verso il pubblico in studio per affermare il proprio dissenso. Ma, possiamo immaginare, anche compiacimento di Conte, che ha segnato un punto a suo favore (e lo si è visto ieri quando buona parte dei riformisti lo ha attaccato). La strategia del leader del M5S è chiara. Approfittando di un Pd diviso al proprio interno, lui si propone come una figura affidabile (il presidente del consiglio che ha gestito la prima fase della pandemia), ma nello stesso tempo come una persona sensibile ai problemi e alle ansie degli elettori comuni. Quelli che non leggono gli editoriali delle grandi firme della stampa nazionale e neppure le riviste di geopolitica. Persone la cui mentalità si è formata nel più lungo periodo di pace ininterrotta che il nostro paese ha avuto nella sua storia recente. A questi italiani, già scossi da anni di crisi economica, dalla pandemia, e poi dalla guerra in Ucraina, il conflitto in Palestina fa molta paura. Ascoltano il Papa, che parla da tempo di una «guerra mondiale a pezzi», e cominciano a crederci. Per intercettare questi voti, Conte non deve necessariamente avere una “soluzione” (ipotesi politiche credibili) per i diversi aspetti della “policrisi”. Basta che sia contro, che alluda, sia pur vagamente, a una via d’uscita dall’angolo in cui la politica che piace tanto ai riformisti ha cacciato l’Italia. Le accuse di «populismo» sono per lui un balsamo, non un’onta.

Chiaro che se questa è la strategia del leader del M5S, con il Pd non può esserci un’alleanza stabile. Sia nella sua versione centrista (auspicata dai nostalgici della Terza Via), sia nella sua versione più vicina agli ideali e alle sensibilità della sinistra e degli ambientalisti (almeno di quelli che prendono sul serio l’equità sociale), il Partito democratico non può muoversi come un “battitore libero”. Ci sono impegni di vario tipo che lo rendono meno duttile tatticamente. Conte è passato da un’alleanza governativa con la destra a una con la sinistra senza scomporsi. Nessun leader dei Democratici potrebbe fare la stessa cosa. In questo senso, e nonostante tutte le cose che lo distinguono dai partiti della cosidetta “prima repubblica”, il Pd è ancora un partito Novecentesco.

Questo non vuol dire che non faccia alcuna differenza se a guidarlo è una figura di quelle che piacciano tanto ai commentatori centristi (c’è un nome, in particolare, che circola da qualche settimana), oppure qualcuno, come Elly Schlein, con un profilo più di sinistra. Un centrista, infatti, nella situazione attuale, non sarebbe in grado di competere con Conte sul suo terreno, e potrebbe persino finire per fare da stampella al governo (lo vediamo già, in queste settimane, dall’atteggiamento morbido e dialogante di molti autorevoli esponenti dell’area riformista, sempre in bilico tra il Pd e i partitini personali di Calenda e Renzi, su questioni come quella dell’autonomia differenziata o del presidenzialismo). Se invece si consolidasse la pur cauta svolta a sinistra che Schlein sta tentando di imporre al partito, si inasprirebbe il conflitto con Conte per l’egemonia sull’opposizione.