Elly Schlein sceglie un centro commerciale di Roma, a Cinecittà, per festeggiare l’8 marzo. Un incontro con un gruppo di lavoratrici in un settore «ad alto tasso di precarietà». Diverse le storie che ha ascoltato, di difficoltà a conciliare lavoro e affetti, di contratti che aspettano di essere rinnovati, di part- time involontario e di domeniche passate sempre a lavorare.

«Serve una legge sulla rappresentanza per spazzare via i contratti pirata e assicurare un salario minimo, bisogna impedire che i lavoratori siano ricattabili per un’ora di lavoro in più», ha detto la neosegretaria del Pd. Che poi si è rivolta alla premier Meloni: «Faccia un congedo paritario retribuito di almeno tre mesi e avrà la mia collaborazione».

Domenica Schlein sarà ufficialmente eletta segretaria dall’assemblea nazionale del Pd, che si riunirà a Roma alla Nuvola di Fuksas. Le trattative con la minoranza guidata da Stefano Bonaccini per salvaguardare l’unità del partito sono ancora in corso. Tra oggi e domani la segretaria e il governatore emiliano dovrebbero incontrarsi di nuovo, dopo il primo incontro della settimana scorsa a Bologna.

Bonaccini ha fatto capire che, per lui, il ruolo migliore sarebbe la presidenza del Pd: una figura di garanzia non direttamente coinvolta nella definizione dell’agenda politica. Di questo ha parlato martedì a Roma in un incontro a Roma con i big che l’hanno sostenuto. Schlein aveva pensato di offrirgli un posto di vicesegretario ma non sarebbe intenzionata a sbarrare la strada della presidenza a Bonaccini.

L’elezione della nuova presidenza (previsti anche due vice) sarà uno dei primi passaggi dell’assemblea di domenica insieme al voto sulla segretaria. I numeri sono a favore di Schlein, ma non certo schiaccianti: 333 i delegati eletti il 26 febbraio riconducibili alla sua mozione, 267 alla minoranza, 20 a Cuperlo. A questi si aggiungono altri 300 membri di diritto, tra parlamentari, segretari di federazione e regionali, e componenti della commissione per il congresso: in gran parte schierati con il governatore.

Per evitare di iniziare il nuovo corso con una spaccatura ci dovrà quindi essere un’intesa, che riguarderà anche la composizione della direzione (60 membri eletti dall’assemblea, 60 espressi dai territori) e l’eventuale ingresso in segreteria della minoranza. I bonacciniani sono divisi al loro interno tra chi vorrebbe far parte a pieno titolo del nuovo gruppo dirigente (come Dario Nardella) e chi invece vorrebbe lasciare tutti gli onori e gli oneri in capo alla nuova leader.

Si è ipotizzato che alla minoranza possano andare caselle come la politica estera, sui c’è maggiore identità di vedute. A cascata verrebbero i nomi dei nuovi capigruppo, che potrebbero andare uno alla maggioranza e uno alla minoranza. «Il mio sforzo è di essere la segretaria di tutti. Non abbiamo bisogno di un Pd che segue la strada delle divisioni interne», dice Schlein. . «Dipende se ci sarà o meno un accordo complessivo», spiegano fonti di maggioranza. Tradotto: da come andrà l’assemblea domenica dipenderanno sia la composizione della segreteria sia il profilo dei capigruppo.

Probabile che il Senato vada a Schlein (con Francesco Boccia), e la camera resti ai bonacciniani con Serracchiani o Bonafè. «La nostra proposta è l’unità, che non è unanimismo», avverte Chiara Gribaudo. Gli altri nomi certi per la squadra sono Marco Furfaro, Marco Sarracino, Alessandro Zan, Antonio Misiani, Chiara Braga e la consigliera del Lazio Marta Bonafoni.

Probabile anche l’ingresso in segreteria di un componente di Articolo 1, il partito che domani darà il via alla fase finale di rientro nel Pd. I nomi che circolano sono quelli di Arturo Scotto e Alfredo D’Attorre. Gli ex popolari riuniti intorno a Pierluigi Castagnetti lanciano un avvertimento: per rimanere nel Pd Schlein dovrà garantire un «praticabile e praticato pluralismo culturale e politico».