Il commissario Ue Paolo Gentiloni, prudente, dà le possibilità di accordo oggi sul nuovo Patto di Stabilità al 51%. Ottimista ma con cautela. Il collega Valdis Dombrovskis spende l’ottimismo della volontà: «Con un approccio costruttivo tra oggi e domani ce la possiamo fare». Il ministro francese Bruno Le Maire vede più rosa di tutti: «Accordo al 90%». La strada è in realtà più accidentata e il più sincero è il ministro portoghese Fernando Medina: «Sviluppi positivi ma per una proposta finale servono altri passi. Non credo che sarà approvata in questo Ecofin». Insomma la «lunga notte» presagita, e non è che ci volesse molto, dalla ministra e vicepremier spagnola Nadia Calvino potrebbe non bastare. A quel punto neppure il vertice ufficiale Ecofin di oggi sarebbe in grado di proporre un testo.

GIÀ MA SE NON ORA quando? Nel vertice dei capi di governo di metà dicembre. Insomma, ancora una settimana per spianare le divergenze potrebbe essere necessaria e neppure allora l’esito positivo è garantito. Un ostacolo, ma non certo l’unico, è la resistenza tedesco-frugale alla proposta avanzata ieri dalla Francia, con l’Italia allineata e concorde, che, se accolta, risolverebbe una parte dei problemi. La proposta di Le Maire è di dividere in due l’attuale 0,5% del Pil che dovrà servire alla ristrutturazione del deficit. Per la Francia, in realtà per tutti i Paesi merdionali, solo lo 0,3% dovrebbe servire a quello scopo mentre il restante 0,2% andrebbe finalizzato agli investimenti green, digitali e per la difesa. Se non è proprio la richiesta italiana di scorporo di quelle stesse spese dal deficit ci si avvicina moltissimo. Se la proposta francese fosse accolta la strada sarebbe tutta in discesa. Il tedesco Christian Lindner, anche lui a nome dell’intero asse frugale, però non la accoglie: «Serve un percorso affidabile verso livelli di debito e deficit più bassi». Il tono tecnico e pacato non deve ingannare: significa che sulle procedure per i disavanzi l’accordo ancora non c’è. «Originariamente c’era un accordo per non toccarla. Ora dobbiamo vedere come costruire un ponte comune», prosegue il ministro delle Finanze di Berlino.

Le Maire replica indirettamente al collega tedesco ricordando che la Francia «è andata incontro alla Germania accettando l’ulteriore clausola di salvaguardia di riduzione del deficit all’1,5%». Su quel fronte, che non è affatto secondario, la Germania ha già vinto. Una volta riportato il deficit al 3% gli Stati non potranno tirare il sospiro di sollievo. Dovranno arrivare all’1,5% in modo da costruire una zona-cuscinetto che eviti lo sforamento del 3% anche in caso di crisi. Ma solo «in circostanze normali». Se non è un abbassamento secco del tetto di Maastricht ci si avvicina moltissimo.

L’ALTRO PUNTO CRITICO, soprattutto per l’Italia, è il debito. Anche qui la proposta spagnola accoglie le pressioni della Germania e dei nordici: il rientro nel parametro del rapporto debito/Pil non oltre il 60% dovrà procedere a colpi di un punto percentuale ogni anno per i Paesi oltre il 90%, come l’Italia, e di mezzo punto per quelli tra il 60 e il 90%. Il percorso di aggiustamento potrà essere di 4 o 7 anni, ma nel secondo caso aumenterà l’obbligo di ridurre il saldo di bilancio primario. L’Italia chiede che il piano di rientro sia portato a 7 anni senza penalizzazioni. Sullo sfondo della partita tecnica se ne gioca anche una politica: il rischio di incorrere nella procedura di infrazione per deficit eccessivo in primavera. È una minaccia che incombe sull’Italia ma anche su una decina di altri Paesi.

A BRUXELLES TUTTI negano che il problema principale sia l’Italia e in effetti è stata la Francia a definire la sua proposta di dimezzamento del rientro sul deficit una «linea rossa» invalicabile. Ma è l’Italia a minacciare di non firmare l’eventuale accordo se non lo riterrà soddisfacente. La formula adoperata due giorni fa dalla premier ricalca quasi parola per parola quella del ministro dell’Economia Giorgetti: «Non si può dire sì a regole che poi non si possono rispettare». Ieri si è allineato anche il ministro degli Esteri Tajani, forte del suo europeismo al di sopra di ogni sospetto: «Noi il patto lo vogliamo firmare ma non deve essere dannoso per il Paese. Dunque non troppo rigore e flessibilità». Ma se tutto andrà bene le porte per la ratifica del Mes sono spalancate. «Abbiamo avuto dal ministro Giorgetti l’indicazione che la ratifica del trattato Mes sarà discussa al parlamento italiano la prossima settimana e molti ministri – sostiene il dg del Meccanismo europeo di stabilità, Pierre Gramegna – hanno espresso la speranza che porterà a un successo in termini di ratifica».