Il fine settimana di Pasqua è stato tutt’altro che sereno per i civili ucraini. Ma mentre a Bakhmut si combatte ancora e la battaglia si allarga alle cittadine limitrofe del Donbass, la diplomazia internazionale continua a muoversi in modo imprevedibile. Stavolta è stato il turno del presidente francese Emmanuel Macron, che ha approfittato della visita a Pechino per rilanciare la sua idea di autonomia strategica europea rispetto agli Stati uniti.

«La trappola per l’Europa – ha detto il capo dell’Eliseo – sarebbe che mentre sta chiarendo la sua posizione strategica, mentre diventa più autonoma strategicamente rispetto al periodo pre-covid, si ritrovi confrontata a un’alterazione del mondo e confrontata a crisi che non sono le nostre. Se ci sarà un’accelerazione della conflagrazione del duopolio (Cina e Usa, ndr) non avremo più il tempo né i mezzi per finanziare la nostra autonomia strategica e diventeremo dei vassalli mentre possiamo essere il terzo polo se avremmo qualche anno per costruirlo». Una dichiarazione programmatica che, tuttavia, incontra le resistenze di una parte significativa e importante dei vertici Ue.

Da un lato si scontra con l’atlantismo indefesso della presidente della Commissione Von der Leyen e dall’altro con l’individualismo tedesco. Il cancelliere tedesco Scholz si è rifiutato di recarsi in Cina con Macron e ha preferito agire autonomamente indebolendo, come non hanno evitato di notare i commentatori internazionali, la posizione francese.

Anche sull’Ucraina Macron ha tentato di portare a casa qualche successo, strappando una timida promessa a Xi Jinping rispetto alla famosa telefonata a Zelensky. Non abbastanza per chi vorrebbe costruire un’alternativa alle superpotenze globali. Anzi, un comportamento che rischia di minare le (seppur minime) possibilità di mediazione di Parigi all’interno del conflitto in corso nell’est del Vecchio continente.

«Parigi ora non può rivendicare il ruolo di mediatore, perché Parigi si è schierata dalla parte di uno dei partecipanti al conflitto. Parigi, inoltre, è coinvolta sia indirettamente che direttamente in questo conflitto dalla parte dell’Ucraina. Pertanto, è ancora difficile immaginare qualsiasi tentativo di mediazione», ha dichiarato il portavoce di Vladimir Putin, Dmitry Peskov.

Dal canto suo il presidente Zelensky continua a muoversi per cercare di estendere la sua rete di alleanze sia tra i Paesi non allineati sia tra i possibili partner commerciali futuri. Nel primo caso si tratta dell’India, che lo scorso anno ha aumentato le importazioni di idrocarburi russi di ben 22 volte rispetto all’anno precedente evitando di prendere una posizione netta sul conflitto.

Ora, secondo quanto reso noto dalla vice ministra degli Esteri ucraina Emine Dzhaparova, che attualmente si trova a Nuova Delhi, Zelensky ha chiesto un colloquio con il presidente indiano Narendra Modi per chiedergli di mediare per la soluzione della crisi in Ucraina. Tuttavia, i rappresentanti indiani ieri hanno partecipato insieme alle altre delegazioni dei Paesi membri del Brics a una riunione convocata a Mosca dalla Russia.

Dal punto di vista commerciale, invece, il leader ucraino ha scritto su Twitter che ha avuto una telefonata con il primo ministro dell’Iraq Muhammad Sudani. Secondo Zelensky, «abbiamo concordato di attivare tutti i meccanismi di cooperazione esistenti e di avviarne di nuovi. Si è discusso anche del piano di pace ucraino».

Nell’attesa di una risoluzione pacifica, tuttavia, le ultime ore sono state caratterizzate da allarmi aerei ripetuti in quasi tutte le regioni ucraine, almeno tre vittime e circa 15 feriti negli ultimi raid missilistici hanno ricordato che in guerra anche le festività religiose diventano uno strumento di propaganda.

Per il Natale ortodosso il Cremlino aveva annunciato una tregua di 36 ore «per permettere ai fedeli di celebrare»; ma ieri Peskov, ha spiegato che stavolta «l’idea non è stata proposta da nessuno» e che «finora non ci sono state iniziative in merito ma la nostra Settimana Santa è appena iniziata».