«Non permetteremo che i cartelli della droga approfittino della pandemia per minacciare la vita dei cittadini degli Usa». Con questa motivazione il presidente Donald Trump, assieme al segretario alla Difesa, Mark Esper, ha annunciato mercoledì l’invio di una flotta statunitense di fronte alle coste del Venezuela e del Messico.

Il 26 marzo i falchi della Casa bianca erano riusciti a sorprendere tutti con una sparata inattesa: una taglia di 15 milioni di dollari sulla testa del presidente venezuelano Nicolás Maduro e – tra gli altri – su quella del ministro della Difesa, Vladimir Padrino. Entrambi accusati di partecipare direttamente o indirettamente – via cartelli della droga e dissidenti della ex guerriglia colombiana Farc – al traffico di cocaina verso gli Stati uniti.

Lo scopo di tale sparata – come ha scritto Carlos Montaner, tra i più noti commentatori anticastristi – era soprattutto politico: dimostrare che Trump è finalmente deciso a «farla finita con Maduro e il suo regime». E che per questo sta schierando l’artiglieria pesante. Le taglie milionarie, in sostanza, sono la ricompensa monetaria per un golpe contro Maduro.

Che l’accusa di esportare droga negli Usa sia «una calunnia con evidenti fini politici» l’ha sostenuto anche Pino Arlacchi – per cinque anni direttore esecutivo dell’Unodc, il programma antidroga dell’Onu.

«Non esiste – ha scritto – se non nella fantasia malata di Trump e soci alcuna corrente di commercio illegale di narcotici tra Venezuela e Stati uniti. Basta consultare le due fonti più importanti sul tema, l’ ultimo rapporto Unodc sulle droghe (World Drug Report 2019) e l’ultimo documento della Dea (National Drug Threat Assessment 2019), la polizia antidroga americana…Il rapporto Onu che fornisce il quadro più dettagliato menziona il Messico, il Guatemala e l’Ecuador come le sedi di transito della droga verso gli Stati uniti. E l’assessment della Dea cita i celebri narcos messicani come i maggiori fornitori del mercato statunitense».

Infine lunedì, a conferma di come Washington si sia convinto che il «suo» presidente autoproclamato Juan Guaidó sia ormai una carta priva di un vero valore politico, il segretario di Stato Mike Pompeo ha affermato che gli Usa sono disposti a ritirare le sanzioni se in Venezuela le due parti contrapposte – opposizione e governo bolivariano – accetteranno di formare un governo di transizione, dal quale sono esclusi sia Maduro che Guaidó.

Questo governo di transizione, formato in maggioranza dall’opposizione ma con elementi dello schieramento chavista, dovrebbe «preparare elezioni (naturalmente) libere e democratiche entro la fine dell’anno».

Sia la proposta di Pompeo che l’invio della flotta Usa sono stati rifiutati prima dal vicepresidente venezuelano Jorge Rodríguez, poi dallo stesso Maduro: «È un tentativo di sviare l’attenzione dalla crisi sanitaria generata dal Covid-19 negli Stati uniti».

Naturalmente, entrambe le iniziative della Casa bianca sono state appoggiate sia dalla Organizzazione degli stati d’America (Oea) del recentemente rieletto segretario Luis Almagro, sia da Juan Guaidó.

Secondo l’analisi di Montaner, se – incitati dalla taglia – alcuni personaggi dello schieramento bolivariano, probabilmente militari, non decideranno in fretta di mettere da parte Maduro, allora gli Stati uniti «hanno già pronti piani di contingenza: bombardamenti chirurgici, operazioni attuate in territorio venezuelano da commandos specializzati, uso di droni killers o un blocco navale», naturalmente «per evitare l’invio di altra cocaina negli Stati uniti».

Per il presidente Trump il valore geostrategico del Venezuela è assai basso. Ma in questa fase, quando l’impatto del coronavirus negli Usa diventa drammatico e la crisi economica che lo accompagna più severa, allora, in un anticipo di campagna per le presidenziali, per The Donald è utile rispolverare il «dossier Venezuela» e aprire un «fronte sud» di conflitti. Per chiedere il sostegno degli americani attorno al loro Captain America.