Parlare di Roma, ovvero del governo di questa inafferrabile città dalle mille anime e dai tanti territori è un po’ come tentare di bere caffè da una tazzina priva di manico: non sai da che parte devi prenderla. Ci sono cose che possono succedere solo in questa città e nessun’altra al mondo come: il pasticcio dello stadio, il mistero della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, l’enigma della linea C della metropolitana con tanto di scale mobili impossibili da riparare, gli sfratti da edifici abbandonati e che restano tali anche quando non ci sono più gli occupanti, le strade poco illuminate da evitare di attraversare di notte e via dicendo. Si tratta semplicemente di inefficienza e incompetenza di un’amministrazione che certo non brilla o c’è qualcosa di più profondo?

L’ESPERIENZA RECENTE del voto in Emilia fa nascere la tentazione che anche a Roma si possa giocare la partita delle alleanze a sinistra, sotto un unico cappello. Necessaria naturalmente, anzi auspicata se non fosse che l’Emilia Romagna vanta una tradizione civica lunga più di settant’anni; Roma no. Il che non significa che non possa o non debba essere tentata, tutt’altro, ma con lo sguardo ben attento a che essa non sia strumentale, occasionale, effimera, ma si proponga una volta per tutte di affrontare (se non risolvere) i ben noti mali della città. Compito tutt’altro che facile che presuppone un vasto spiegamento di forze politiche espressione reale di rappresentanza popolare, decise a contrastarli e un lavoro quotidiano lungo e faticoso, abbandonando facili proclami.

DI CERTO NON SI TRATTA di piantare alberi come proposto da qualche autorevole architetto senza prendere di petto la questione del consumo di suolo, il monopolio degli affitti di AirBnB e gli intrecci storici tra immobiliaristi, politici e amministratori della cosa pubblica, un intreccio che ha sempre afflitto la città pubblica appena appena scoperchiato dalla vicenda di mafia capitale.

Così come la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti non è un mistero tecnologico: in molte città europee e anche italiane il problema è stato risolto. Che vuol dire che a Roma non è soltanto l’incompetenza la colpevole di tanti guasti, ma che in questa città prevalgono poteri ben organizzati che vivono (e bene) a spese della incapacità dell’amministrazione di trovare soluzioni adeguate. Tempo ce n’è per discutere questi problemi prima di affrontare il problema delle alleanze per non ripetere vecchi e dolorosi errori del passato anche recente. Gli obiettivi della nuova alleanza devono essere dichiarati esplicitamente prima che la competizione elettorale prenda il sopravvento, oppure rischiano di essere espressioni di meri interessi elettoralistici. Occorre indicare non solo quali problemi ma come si dovranno affrontare recidendo oscuri interessi e collusioni e rinunciando a quelle pretese di trasformarla in una metropoli cosiddetta moderna, dove la modernità sta a indicare solo un’effimera maschera che mal si adatta a questa città che non ha bisogno di nessun maquillage per competere con le altre grandi città europee.

ROMA HA UNA SUA vocazione “naturale”: la tolleranza, l’accoglienza, l’assenza di una cultura razzista e sono questi i valori che bisognerebbe ribadire con decisione e valorizzare per battere la vandea di una destra feroce e armata di un’ideologia di guerra contro tutte le culture alternative che sono presenti nella Capitale, in primis centri sociali, associazioni umanitarie, comunità virtuose. Che poi, fatte le alleanze, si rischia di scoprire che alcune di queste forze politiche prediligono il principio di realtà con il quale far tacere i conflitti e rimettere la città sotto la cappa asfissiante di ognuno-per-sé.

Tomaso Montanari nel suo nuovo libro recensito su questo giornale da Piero Bevilacqua (il manifesto del 30 gennaio) parla di una lunga nottata che bisogna attraversare per ritrovare, se ancora possibile, i vecchi valori della sinistra. Può apparire un lusso da anime belle citare questa metafora proprio nel momento in cui la pressione della destra si fa minacciosa e la risposta a questa diventa urgente, ma il fallimento delle esperienze passate, almeno a Roma, ci dovrebbe insegnare che soluzioni dettate dall’urgenza non sono mai le migliori. Del resto per fare un salto, alcune volte, può rendersi necessario fare due passi indietro per prendere la rincorsa. Dunque sediamoci intorno a un tavolo e discutiamo di quale città vogliamo.