Una vittoria di Pirro per il governo: la mozione di censura «transpartitica» presentata dal gruppo centrista Liot è stata bocciata, ma per soli 9 voti (per fermare la riforma delle pensioni e far cadere il governo erano necessari 287 voti, ce ne sono stati 278). Sconfitta anche, più ampiamente, la sfiducia firmata dal Rassemblement national. Sulla carta, la riforma delle pensioni che alza l’età da 62 a 64 anni, è adottata. Ma le piazze francesi restano in agitazione e la protesta si estende: la sede di Tolbiac della Sorbonne è stata occupata, come il Musée des Beaux Arts di Lione, i blocchi stradali si moltiplicano, il carburante esce con difficoltà dalle raffinerie, la spazzatura si accumula non solo a Parigi.

IN AULA, la prima ministra Elisabeth Borne ha difeso le scelte del governo, i contenuti della riforma delle pensioni e il ricorso all’articolo 49.3 – far passare la legge senza voto all’Assemblée nationale – «non una scelta di un dittatore, ma del generale De Gaulle», uno strumento costituzionale. Ma il potere esce a pezzi da questa sequenza parlamentare. Con chi il governo, che ha solo una maggioranza relativa, potrà creare alleanze per far passare le prossime leggi?

LA DESTRA del partito Les Républicains (Lr) si è spaccata, una grossa fetta di deputati (19) non ha seguito le indicazioni della direzione e ha votato la sfiducia, in una rincorsa dell’estrema destra. A sinistra, i deputati della France Insoumise sono usciti dall’aula quando Borne ha preso la parola (solo i comunisti sono rimasti e qualche esponente di Ps e Verdi). Il clima è stato estremamente teso per tutto il pomeriggio. Borne ha risposto in modo crudo a Charles di Courson, capofila della mozione di censura del gruppo Liot, sottolineando le «contraddizioni» della sinistra che, oltre a votare con l’estrema destra, ha firmato «un’alleanza barocca» con un deputato che ha sempre difeso l’austerità e l’innalzamento dell’età della pensione, è stato contro il matrimonio per tutti e non ha voluto che l’abolizione della pena di morte fosse nella Costituzione.

PER MATHILDE PANOT, capogruppo della France Insoumise, il governo è «già morto», ha «tradito il popolo» e suscita solo «rabbia e disgusto», mentre la sua «parola è svalutata». La France Insoumise chiede il ritorno alle urne, lo scioglimento dell’Assemblée nationale, mentre la sinistra ha già trasmesso al Consiglio costituzionale la proposta di indire un Rip, un referendum di iniziativa condivisa (che richiede la firma di 185 parlamentari e di 4,5 milioni di elettori, ma che può bloccare per nove mesi l’entrata in vigore della riforma). Gli oppositori contestano anche la costituzionalità di alcuni articoli della legge. Borne ha parlato come se fosse destinata a durare, ma un paese inquieto e agitato attende ora l’iniziativa di Macron.

IL PRESIDENTE potrebbe rivolgersi alla popolazione, per cercare di spiegare. Ma ormai a vacillare non è solo il governo, ma le istituzioni: una crisi sociale si è trasformata in una crisi politica e rischia di diventare una crisi di regime. La V Repubblica, dopo il crollo dei partiti di governo che hanno assicurato l’alternanza destra-sinistra per decenni, sembra arrivata al capolinea. È la democrazia francese che viene messa in causa. Il voto di ieri non risponde alla domanda di dove risiede la legittimità: quella del presidente, eletto contro Marine Le Pen, quella del parlamento che non ha votato la legge (passata solo al Senato), quella della piazza che protesta?

I SINDACATI, che ieri hanno mostrato le prime fratture rispetto alla minaccia di una protesta dei sorveglianti nei licei durante le prime prove della maturità, avevano preferito non immischiarsi nel voto della censura. Ma preparano la nona giornata di manifestazioni e scioperi, giovedì 23.

L’ELISEO è sotto assedio, le pensioni sono l’ultima goccia che ha fatto esplodere la rabbia sociale della classe media alla deriva, che sente di perdere terreno su tutti i fronti (scuola e valore dei diplomi, ospedali in crisi, casa troppo cara, inflazione).