Il parlamento francese ha rieletto Yael Braun-Pivet alla presidenza dell’Assemblée Nationale, ieri, grazie ai voti della destra gollista e della compagine macronista, in una sorta di prova generale di grande coalizione che, unendo forze e numeri, potrebbe scalzare la sinistra del Nuovo Fronte Popolare dal primo gradino del podio di un parlamento mai così diviso. Braun-Pivet, candidata della macronie, ha ricoperto l’incarico dal 2022 fino alla dissoluzione voluta da Emmanuel Macron a giugno, due anni nei quali il partito presidenziale, per la prima volta dagli anni 90, non ha avuto la maggioranza assoluta alla Camera.

ERA LA PRIMA VOLTA dal suo scioglimento che l’Assemblée si riuniva. Dopo una competizione elettorale al cardiopalma, nella quale l’estrema destra lepenista era data per vincitrice, il 7 luglio le urne hanno consegnato un parlamento fratturato in tre, con in testa la coalizione di sinistra del Nuovo Fronte Popolare (195 deputati), seguita dalla coalizione macronista (168). Il Rassemblement National, penalizzato dal «cordone sanitario» degli altri partiti (il «fronte repubblicano»), si è fermato a 143 seggi. Dopo l’annuncio dei risultati, era stato lo stesso l Macron a indicare l’elezione della presidenza della Camera come passaggio cruciale per capire in quale coalizione l’inquilino dell’Eliseo avrebbe dovuto pescare un primo ministro. Nel regime della Quinta Repubblica, infatti, la nomina del premier è un diritto esclusivo del presidente, sebbene nella prassi della politica francese sia sempre stata una prerogativa della coalizione arrivata in testa alle elezioni. Per questo motivo, i partiti del Nfp hanno rivendicato il fatto che spetti alla sinistra la nomina di un governo, anche se non si sono ancora accordati sul nome del premier, dopo le candidature per ora fallimentari di Huguette Bello e Laurence Tubiana. Di fronte al rischio di vedere la sinistra al potere, seppur con una maggioranza parlamentare del tutto relativa, Macron ha preso tempo, indicando in una lettera ai francesi del 10 luglio che «nessuno ha vinto» le elezioni e che, quindi, vi era bisogno di trovare una «maggioranza assoluta» delle «forze repubblicane». Il voto per la presidenza della Camera, dunque, era un primo test per capire se un accordo tra macronie e destra tradizionale fosse in grado di scalzare il pericolo costituito dalla gauche. I partiti del Nfp hanno fatto una proposta unitaria: André Chassaigne, «decano» del gruppo parlamentare comunista, sperando che la compagine macronista non riuscisse a siglare un accordo coi gollisti, cosa che non gli era mai riuscita negli ultimi due anni. Chassaigne, tuttavia, si è fermato a 207 voti, contro i 220 raccolti da Braun-Pivet. Dopo il ritiro del proprio candidato, gli ex-Les Républicains (ora Destra Repubblicana) hanno votato in massa per la candidata macronista, conferendole quindi un secondo mandato e inviando in questo modo un messaggio molto chiaro: c’è una maggioranza relativa di destra, oggi, che conta una manciata di deputati in più della sinistra. Secondo i giornali francesi, in cambio del sostegno alla macronie, i gollisti guidati da Laurent Wauquiez avrebbero ottenuto una mezza dozzina di posti importanti, tra vice-presidenze e commissioni parlamentari. Non è ancora chiaro, tuttavia, se tale sostegno si possa formalizzare in una coalizione vera e propria. Nei giorni scorsi, Wauquiez si era detto disponibile a un «patto legislativo» ma non a una collaborazione al governo.

SALENDO UNO A UNO sul podio per infilare il voto nell’urna, i parlamentari del Nfp hanno rifiutato di stringere la mano al collega che presidiava il seggio – per l’occasione, un deputato Rn (il compito spettava al più giovane dell’Assemblea, come da regolamento). «Noi non stringiamo la mano all’estrema destra», ha detto il deputato di Lfi Louis Boyard. Gli sforzi per trovare un accordo su di una candidatura unica, tuttavia, non sono serviti a evitare la convergenza tra la Destra Repubblicana e la macronie, obiettivo dichiarato di quest’ultima. «Hanno rieletto la stessa persona di prima», ha detto la deputata ecologista Sandrine Rousseau, «in pratica stanno dicendo che le elezioni legislative non sono servite a niente».