«Chi non emigrava non era gente. Emigrare era diventare grande. Capitava a sei anni. Per gli uomini la maledizione era la guerra: ti strappava dal mondo. Durante la Seconda guerra mondiale il cuneese era terra di reclutamento degli Alpini nella campagna di Russia. Per le donne l’equivalente della guerra era il parto. Dopo la guerra, è arrivato il fascismo». Inizia così l’installazione multimediale interattiva Le stagioni di Paraloup curata dallo studio milanese Neo e da Andrea Fenoglio. Le quattro epoche che hanno caratterizzato la storia di Paraloup sono la fine dell’Ottocento con le migrazioni alpine, il periodo della lotta di liberazione dal nazifascismo, lo spopolamento delle Alpi e il ritorno alla vita in montagna di oggi.
Siamo al Museo dei Racconti di Paraloup in provincia di Cuneo, Piemonte. In occitano, Paraloup vuol dire «al riparo dai lupi». In senso fisico e metaforico: lupi erano i nazifascisti che non riuscirono a catturare i partigiani qui rifugiati perché da questa postazione potevano controllare perfettamente Cuneo e Borgo San Dalmazzo, e quindi gli spostamenti nella valle sottostante. Non riuscirono a espugnare Paraloup. Per vendicarsi, incendiarono case, presero ostaggi e ne fecero scudi umani. Vicende, queste, raccontate nel saggio Resistenze. Quelli di Paraloup a cura di Beatrice Verri e Lucio Monico.

DOPO la guerra, da qui partirono in tanti per fare gli operai alla Michelin che aveva aperto uno stabilimento a Cuneo. In montagna non arrivava la corrente elettrica, faceva freddo, non si poteva più vivere così. A premere per andarsene erano soprattutto le donne: nei campi e poi a casa, lavoravano il doppio degli uomini. Erano le loro stesse madri a dire alle figlie di andarsene. Nemmeno i preti le trattenevano. Così, queste montagne si svuotarono. Nelle baite restavano i vecchi, con le 18mila lire della pensione sociale. Eppure, appena potevano tanti scappavano in montagna anche solo per mezza giornata. Li chiamavano i «metalmezzadri».
In pianura non era facile: le rate da pagare, i turni di notte, i capiofficina che dettavano legge. Quando tornavano al paese, tutti imbellivano però i racconti per non sembrare perdenti. A Paraloup il personaggio attorno a cui ruota la fondazione è Nuto Revelli (1919-2004). Il suo motto era «A volte basta il suono di una voce perché un muro crolli». A Cuneo, in quella che era la sua abitazione, si trova la sede della fondazione. Geometra, fu avviato a una brillante carriera nell’esercito fascista. Ufficiale nella campagna di Russia, venne ferito e rientrò in Piemonte.

RIBALTATI i suoi ideali, si unì a Italia Libera, la prima delle bande partigiane. Inizialmente erano dodici partigiani che da Madonna del Colletto, dov’erano militarmente troppo esposti, dopo che i nazifascisti diedero alle fiamme Boves decisero di trasferirsi a Paraloup. Qui, nell’inverno del 1943 Revelli diede avvio a una scuola ufficiali per duecento partigiani. Dopo il conflitto, tornò su queste montagne e queste valli, registrando con il magnetofono centinaia di testimonianze, tra cui quelle di tantissime donne raccolte nel volume L’anello forte. La donna: Storie di vita contadina (Einaudi, 1985).
Borgata Paraloup è stato un luogo di partenze ma anche un approdo importante: culla della formazione politica, laboratorio di democrazia come nel 1943 quando ospitò la banda partigiana Italia Libera.
Come impresa sociale, oggi Paraloup torna a essere punto di partenza per la diffusione di una cultura sostenibile e innovativa della montagna. C’è un piccolo orto sperimentale con patate, cipolle ed erbette. D’estate sarà tempo di segale. E qui tornerà anche il pastore Gian Vittorio Porasso di Castelnuovo di Ceva, ambasciatore di Slow Food, con le sue 149 capre per produrre il suo apprezzato Castelchabra e contribuire alla pulizia del sottobosco. Con la bella stagione, sul palco in legno proteso verso la valle, a sud, si esibiranno attori e musicisti.
Per raggiungere borgata Paraloup inserite sul navigatore Rittana. Da Torino è un’oretta e mezzo in auto. Presa l’autostrada A6 in direzione Savona, al bivio si gira verso Cuneo e si va fino in fondo. Al casello si prosegue per Rittana. Dopo la frazione Gorrè si sale ancora e dopo un paio di minuti si arriva in località Chiot Rosa dove si può lasciare l’auto nel parcheggio e proseguire, a piedi, oltre la transenna. In 25-30 minuti di passeggiata in salita, facendo attenzione alle lastre di ghiaccio nelle zone d’ombra, si giunge a borgata Paraloup e ad un insieme di baite ristrutturate dalla Fondazione Nuto Revelli. La prima sulla destra è pericolante: «Abbiamo provveduto al tetto, affinché non crollasse, diverse di queste baite sono di proprietari che se ne disinteressano ma non vogliono vendere», spiega Alessandro Ottenga, direttore della Borgata Paraloup.

DA QUI, potete proseguire per uno dei tanti sentieri dei partigiani, tra cui il sentiero della libertà, la via della resistenza. Se decidete di trattenervi la notte, vi sono 15 posti letto così distribuiti: la bella camera Sottopalco (è proprio sotto il palco proteso verso la valle) oppure la baita Cìta e quella Gròssa.
Se avete apprezzato gli gnocchi con castelchabra e nocciole e il flan di porro di Cervere e salsa di acciughe di Valeria Morichi (la sua cucina vale il viaggio!), sulla strada del ritorno potete fare una deviazione gastronomica e portarvi a casa qualche toma a latte crudo (vaccino). Scendendo da Chiot Rosa al bivio, anziché girare a sinistra in direzione Cuneo-Torino andate a destra. Il primo paese si chiama Moiola. Superatelo. Dopo una curva ampia, sulla sinistra trovate un ponte. Imboccatelo e, in fondo, girate a destra. Poco più avanti, sulla sinistra, troverete l’Azienda Agricola Fiori dei Monti di Barbara Viale e Andrea Colombero con deliziosi formaggi freschi e stagionati della tradizione alpina che vi terranno compagnia nei giorni successivi alla gita nel cuneese.