«Muraglia di difesa 2» a Gerusalemme Est. Comincerà domani, se l’ordine dato ieri dal ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir sarà confermato, la massiccia operazione di polizia in risposta all’attacco compiuto ieri da un palestinese che si è lanciato con la sua Mazda blu contro un gruppo di israeliani in attesa a una fermata dell’autobus a Ramot, non lontano dal sito religioso di Nebi Samuel, uccidendo un bambino di 6 anni, Yaakov Pelli, e un religioso ultraortodosso di 20 anni, Alter Liderman. Il bambino è morto quasi subito, a nulla sono serviti i tentativi di rianimarlo. Suo fratello di 8 anni è rimasto ferito gravemente, in modo più leggero il padre e un altro fratello di 10 anni. I funerali del bambino si sono svolti ieri pomeriggio. Il giovane religioso è spirato poco dopo essere giunto all’ospedale Shaare Zedek di Gerusalemme. Altre persone sono rimaste ferite. Il 27 gennaio un palestinese aveva aperto il fuoco contro passanti a Neve Yaacov uccidendo sette israeliani. Il giorno prima un raid dell’esercito israeliano aveva ucciso dieci palestinesi, tra cui una donna di 61 anni, nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania.

A compiere l’attacco è stato Hussein Karake, 30 anni, palestinese originario del campo profughi di Dheisheh (Betlemme) ma residente da tempo a Issawiye, un popoloso sobborgo di Gerusalemme Est. È stato ucciso sul posto da un poliziotto non in servizio. Video girati con telefoni cellulari mostrano israeliani che puntano le loro armi contro l’auto blu, poi uno di loro spara a Karake seduto al posto di guida. Di lato a terra, accanto alla fermata del bus, i corpi di morti e feriti. Non è chiaro se quella del palestinese sia stata l’azione di un «lupo solitario» come altre avvenute in passato. Ieri sera circolavano indiscrezioni, di fonti palestinesi e israeliane, su un presunto «stato mentale instabile» di Karake in cura in centri specializzati. Altre fonti invece parlavano di un attacco compiuto in piena coscienza. Sui social è apparsa una foto di Karake in compagnia di Nizar Banat, un attivista di Hebron morto per le percosse subite nel 2021 dopo l’arresto da parte di dell’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen che non ha condannato le uccisioni a Ramot.

Il movimento islamico Hamas non ha rivendicato l’attacco però lo ha descritto come una conseguenza dei raid di Israele nelle città palestinesi e della recente uccisione da parte dell’esercito di cinque suoi militanti nel campo profughi di Aqabat Jaber (Gerico). Il premier Netanyahu, a capo di un governo di estrema destra religiosa, ha ordinato di chiudere subito la casa di Karake in attesa della sua demolizione, come prevedono le misure decise dopo l’attentato di fine gennaio. Ben Gvir però vuole molto di più. «Voglio applicare la pena di morte per i terroristi e la prossima settimana avanzeremo la legge sulle armi (facili, ndr)», ha detto. Leader dell’estrema destra, Ben Gvir in campagna elettorale aveva promesso misure eccezionali, a cominciare dalla demolizione in massa delle «case arabe abusive». Ora lancia l’operazione «Muraglia di Difesa 2» (Homat Magen in ebraico) per prendere di mira quelli che definisce come i «centri del terrorismo», ossia i quartieri palestinesi alla periferia orientale di Gerusalemme. Già ieri a Issawiya sono stati arrestati alcuni dei famigliari di Karake e, decine di poliziotti hanno rastrellato il quartiere, tra i più isolati e trascurati dal comune di Gerusalemme.

«Muraglia di Difesa» fu lanciata nel 2002 dal premier israeliano Ariel Sharon dopo un attentato a Netanya, nel pieno della seconda Intifada palestinese contro l’occupazione cominciata due anni prima. Fanteria e reparti corazzati, con la copertura degli elicotteri, rioccuparono le città autonome palestinesi in Cisgiordania. Oltre a provocare distruzioni enormi, in particolare a Ramallah (con l’assedio al quartier generale di Yasser Arafat), Nablus e nel campo profughi di Jenin, l’offensiva fece centinaia di vittime tra combattenti e civili palestinesi. Furono uccisi anche 30 soldati israeliani. Ben Gvir vuole ripeterla ora a Gerusalemme Est. Un alto funzionario governativo ha precisato che operazioni di tali dimensioni sono decise solo da Netanyahu. Ben Gvir tra le altre cose vorrebbe «assediare» Issawiya e deportare in Cisgiordania parenti e complici dei «terroristi». Lo frena la stessa legge israeliana che assegna a Gerusalemme (annessa unilateralmente allo Stato ebraico) uno status diverso dalla Cisgiordania controllata attraverso la legge militare.