La lettera di risposta dell’Italia alla richiesta europea di manovra aggiuntiva, quella che rispondeva picche e che ufficialmente il vicepresidente della Commissione Dombrovskis e il commissario all’Economia Moscovici stanno ancora «esaminando», è carta straccia. Fatta a coriandoli poche ore dopo essere stata inviata, in seguito alla lavata di testa arrivata a strettissimo giro da Bruxelles. La manovra che mai ci sarebbe stata è già in cantiere, verrà ufficializzata entro febbraio. Ma Bruxelles è già stata messa ampiamente al corrente dei miti consigli a cui è addivenuta Roma.

Fuori discussione anche l’idea di impuntarsi per strappare uno sconto sui 3,4 miliardi richiesti infilando nel conto le spese per il terremoto di gennaio. Il No della Ue è già arrivato. Si risparmierà qualcosa, ma certo non l’auspicata metà del totale, solo se tra un mese il bilancio finale del 2016 dimostrerà che le cose sono andate un po’ meglio del previsto e che il Pil è cresciuto più rispetto dello 0,8% preventivato.

La manovra dunque, che come già annunciato nella letterina sarà composta per tre quarti da nuove entrate e per un quarto da minori uscite. Maggiori entrate vuol dire aumento delle accise: 2 centesimi in più sulla benzina per un totale di 800 milioni, poi i tabacchi più varie ed eventuali per raggiungere il miliardo e mezzo. Che si somma al miliardo ricavato dalle misure contro l’evasione, già annunciate da Padoan in Senato, subito dopo la ripassata piombatagli sul capo da Bruxelles. Le minori uscite, invece, si compongono di una voce sola, quella che il governo aveva già fatto girare dal primissimo momento, molto prima di spedire la letterina: tagli ai ministeri.

L’Europa si accontenterà di una manovra che presenta almeno due voci dubbie per definizione, quella sulla lotta all’evasione, che non è mai davvero quantificabile in anticipo, e quella sui tagli ai ministeri, che senza ulteriori specifiche è senz’altro troppo vaga? Probabilmente sì, perché se sul piano dei conti ha ottenuto solo in parte le certezze reclamate sul piano politico la resa dell’Italia è totale. I tempi in cui Renzi provava a fare la voce grossa minacciando veti sembrano lontanissimi. Ora, commentando il livello alto dello spread, che ieri è in realtà un po’ sceso rispetto ai 201 punti di lunedì ma sempre attestato sui 196, Padoan ha intonato la canzone preferita dalla Ue: «Le vicende di questi giorni e di queste ore ci ricordano in modo sgarbato come un Paese ad alto debito non possa non occuparsi della sua discesa». Lo slittamento, rispetto a quando l’accento cadeva sempre e solo sulla crescita, addossando la responsabilità del rialzo del debito ai migranti e ai terremoti, è vistoso. Quello sulla diminuzione del debito come assoluta priorità è il leitmotiv che l’Europa voleva ascoltare. Senza stecche o voci dissonanti.

Non è solo per la paura di una procedura d’infrazione molto pesante e che sarebbe certamente arrivata senza questa genuflessione che il governo italiano ha cambiato marcia. Sullo sfondo campeggia quell’«Europa a due velocità» che Angela Merkel ha di fatto annunciato, senza peraltro specificare cosa intendesse concretamente dire. Ieri la cancelliera è tornata sull’argomento, con la palese intenzione di rassicurare. Ma ci è riuscita fino a un certo punto. «Non deve essere possibile che si creino club esclusivi in cui altri non possano entrare», ha garantito. Insomma si potrà partire in serie B ma poi, quando si sarà in grado di farlo, chiedere la promozione. Però la cancelliera non si è fatta sfuggire una sillaba sul vero punto nevralgico: la doppia velocità comporterà anche l’adozione di una doppia moneta, come vorrebbero i falchi capitanati dal suo ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble, o verrà difesa la moneta unica, come è intenzionato a fare il presidente della Bce Mario Draghi?

Lo scontro all’ultimo sangue che si sta combattendo e si combatterà in Europa è questo. La rinnovata insistenza italiana sulla priorità della riduzione del debito rivela che il nostro Paese non è affatto certo che a spuntarla sarà Draghi.