Pablo di Neanderthal. Arte, evoluzione e bricolage è il titolo, a prima vista enigmatico, del film di Antonello Matarazzo in prima mondiale lunedì 5 (Notti veneziane, alle Giornate degli autori). Unico film d’artista alla Mostra del cinema 2022, ritratto di Pablo Echaurren e, nello stesso tempo, riflessione sull’evoluzione che prende le mosse, appunto, dall’uomo di Neanderthal. Che cosa abbiano in comune questi due aspetti del film lo scopriamo passeggiando nell’intreccio di immagini, riferimenti, citazioni; e in dialoghi in cui arte, scienza, e le insidie dell’immaginario, e gli sviluppi anche caotici e irregolari di quel che chiamiamo «evoluzione», trovano imprevedibili connessioni.

Il film nasce dall’incontro fra Antonello Matarazzo, affermato videoartista con formazione pittorica, che si muove fra le arti e i generi audio-visivi, e Pablo Echaurren, artista ben noto a partire dagli anni Settanta, pittore, autore di disegni e fumetti e felici copertine (fra cui quella di Porci con le ali), creatore di oggetti e di «scatole delle meraviglie»: e proprio da qui, dallo studio di Echaurren ricco di reperti e riferimenti al paleolitico, di cui l’artista è appassionato, parte l’idea di un viaggio popolato di echi di un remotissimo passato, e di pensieri su come arte ed evoluzione si basino su associazioni nuove di materiali esistenti, su come la creazione sia ricombinazione, dalle grotte di Lascaux e di Bruniquel fino a Duchamp. Evoluzione che procede anche per imperfezioni e rammendi: opera paziente e sorprendente di bricolage. Echaurren ragiona e racconta: spesso in cammino e in dialogo con Bruno Di Marino, studioso e critico di video e cinema sperimentale, e sceneggiatore del film con lo stesso Echaurren e con Matarazzo; ma anche con esperti come Giuliano Sacco, Giorgio Manzi e Mario Tozzi, che illuminano le caratteristiche dell’uomo di Neanderthal rispetto al successivo e «vincente» Homo Sapiens. Che sapiens lo è, ma mica tanto e mica sempre per il verso giusto.

Il film è un labirinto, un percorso in cui frammenti di spiegazioni scientifiche (Martha Festa) si combinano con pezzi di pietra, remote immagini, genealogie da ripensare: come quando Echaurren, nello studio, mostra una delle sue piccole «scatole delle meraviglie» in cui ha cancellato la foto del padre (il pittore cileno Matta) per ritrovare nelle pietre primitive radici ben più autentiche e sentite. Segno, anche, di una creatività in ogni senso lontana, e quanto più viva, dei salotti e dei collezionismi dell’arte. Necessità di ripensare i nostri alberi genealogici, e di ripensare noi stessi nella immensità del tempo.

Così, Echaurren parla del rapporto con l’arte (si tiene lontano da molti anni da tele e pennelli e matite) e dei veri «padri», come lo è stato per lui Gianfranco Baruchello; e grazie agli effetti digitali conversa con Bruno Di Marino nelle sue scatole, vere e proprie «macchine del tempo» in cui le epoche coesistono: lillipuziane stanze di echi e di combinazioni inattese, microstorie che rimandano a epoche remote, a una preistoria dell’umanità il cui futuro è segnato da evoluzioni possibili e in parte ignote, svolte imprevedibili e non misurabili. E non mancano, nel visitare anche «virtualmente» queste recenti opere di Echaurren, i riferimenti a Duchamp, a Joseph Cornell, a Carrie Stettheimer con quelle case in miniatura (1916-1935) per cui vari artisti del tempo avevano realizzato micro-quadri. Scatole-rifugio, scatole-caverna, queste di Echaurren, su cui ha ripreso a lavorare nel periodo della pandemia, dopo decenni.

In questo film, flânerie in diversi luoghi (innanzitutto Roma) e in varie epoche, c’è ancora altro: come il ricordo e le immagini degli «indiani metropolitani» del movimento del ’77, con le opere realizzate allora da Echaurren.

E fotografie, animazioni, intarsi elettronici in scenografie disegnate, simulazioni, materiali d’archivio, spezzoni di film di finzione. Il tutto scandito dai racconti di paleo-antropologia, da passeggiate alla ricerca di antiche selci da scheggiare, o da cui far scaturire la scintilla per il fuoco; o a ragionando sul modello del cranio di un Neanderthal di cento o duecentomila anni fa trovato sulle rive dell’Aniene. E c’è il fuoco, e l’ombra, e la nascita del linguaggio e del racconto; e c’è la storia della riproduzione sessuata; e ancora tanti riferimenti, in un andirivieni che Matarazzo costruisce in forma di bricolage, che poi è una delle parole chiave di questo film felicemente inclassificabile e vertiginoso.