Sono passati undici mesi dalle prime proteste contro la riforma del sistema pensionistico poi diventate contestazioni di massa a Daniel Ortega e Rosario Murillo, rispettivamente presidente e vicepresidente del paese. Ad oggi il bilancio è durissimo: secondo dati della Commissione interamericana per i Diritti umani ci sono stati tra 325 e 535 morti, circa 760 i detenuti politici, decine le persone scomparse, centinaia gli esiliati all’estero.

DALLE CARCERI arrivano racconti raccapriccianti: torture, violenze, abusi fisici e sessuali. El Infiernillo e El Desierto sono le sezioni più buie della Modelo e del Chipote, i due penitenziari usati come centri di tortura già ai tempi della dinastia di dittatori Somoza.

Dopo mesi di stasi, il 27 febbraio Ortega ha chiesto la riapertura dei negoziati che erano stati interrotti a causa del mancato accordo tra Alleanza Civica per la giustizia e la democrazia (settore imprenditoriale, studenti e società civile) e governo. Stavolta però ci sono meno posti a sedere: studenti, settori femministi e movimento contadino rifiutano il confronto con un presidente che considerano illegittimo e non sono disposti a negoziare senza la previa liberazione di tutti i prigionieri politici.

IN RISPOSTA a questa situazione stagnante gli studenti hanno convocato una manifestazione di piazza il 16 marzo scorso per chiedere nuovamente la scarcerazione dei detenuti: la giornata si è conclusa con pestaggi da parte della polizia e 164 persone arrestate (liberate qualche ora dopo) accusate di «disturbare l’ordine pubblico e la sicurezza delle famiglie nicaraguensi» (da settembre in avanti sono state dichiarate illegali manifestazioni e cortei).

Non tardano ad arrivare preoccupanti commenti da Washington che per bocca dell’ambasciatore Todd Robinson fa sapere che sebbene la crisi vada risolta attraverso canali politici, diplomatici ed economici, non si escludono altre opzioni di intervento più drastiche da parte degli Usa.

DELICATA invece la posizione del nunzio apostolico Stanislaw Waldemar Sommertag, inviato dalla Santa Sede poco dopo l’inizio della crisi, che ha chiesto di evitare le manifestazioni di piazza, utili solo a complicare il processo di dialogo: i nicaraguensi, sostenuti sin dall’inizio dalla Chiesa cattolica locale, non hanno apprezzato le sue dichiarazioni che sembrano evidenziare un avvicinamento tra gli alti ranghi ecclesiastici e il governo.

DOPO IL CORTEO DEL 16, con un comunicato del 21 marzo, Ortega ha annunciato la liberazione totale di tutti i detenuti entro 90 giorni e l’inizio di un processo di democratizzazione del paese con apertura a riforme elettorali. Chiede in cambio a Stati uniti e Unione europea di cancellare le sanzioni internazionali imposte al suo governo. I familiari dei prigionieri e i movimenti rispondono che devono essere scarcerati tutti entro 15 giorni e chiedono di bloccare i negoziati fino a quel momento.

ll traballante processo di dialogo stabilito in una roadmap che segna provvisoriamente la fine delle trattative di pace per il prossimo 28 marzo ha perso credibilità, ma continua ad essere l’unica via d’uscita non violenta alla crisi. Intanto l’Unità nazionale Azzurro e bianco (Unab) ha convocato una nuova manifestazione, oggi 23 marzo, per ribadire la scarsa disponibilità a scendere a patti in mancanza di visibili aperture da parte del regime.

Nel paese la crisi economica si fa sempre più pressante, con migliaia i posti di lavoro persi e forte aumento dei prezzi dei beni di prima necessità.

UN QUADRO FRAGILE e complesso la cui via d’uscita somiglia sempre più ad un labirinto e le prospettive di risoluzione pacifica sembrano ormai annebbiate da interessi politici ed economici che hanno frammentato l’iniziale coalizione tra i diversi settori della società.