Vero, esistono stargates per andare in Cina. Si può essere in Cina in un attimo senza andarci. A scanso di equivoci sto pensando a luoghi, effettivamente magici, o anche a persone, particolarmente preziose. Il primo «Binario 9¾» per la Cina lo scovai vent’anni fa, a Parigi. Se vi capita di passare dai cugini d’oltralpe, cercate una libreria, chiamata You Feng. Si annida in Rue Monsieur le Prince, praticamente alle spalle della Sorbona, e il proprietario – cinese il cui volto granitico raramente si scioglie in un sorriso – la gestisce dal 1970. È improntata alla più grande spartanità: come entrate, siete semplicemente in una mono-stanza enorme, illuminata a sparo coi neon. Ma è infarcita di libri cinesi e sulla Cina, mappe, micro-manichini da agopuntura, oltre a vendere un’impressionante dispiegamento di pennelli da calligrafia. Insomma, un paradiso.

Lì troverete sicuramente i libri di un altro stargate: Jacques Pimpaneau. A 24 anni saltò su un treno da Parigi per andare a Pechino a vendere quadri di giovani artisti francesi. La sua idea era poi di fare il contrario: tornare in Occidente per aprire una galleria e vendere dipinti di giovani cinesi. Ma rimase folgorato dal teatro cinese, e a Pechino rimase tre anni. Correva l’anno 1958.
«Se un marziano sbarcasse oggi in Europa e volesse capirla, dovrebbe imparare il latino, sono sicuro. Similmente, per la Cina, intuii che il cinese classico era la chiave, e cercai uno studente pechinese che mi desse ripetizioni. A fine anni ’50, in piena Cina maoista, non era la materia che andasse esattamente per la maggiore», mi rivelò una mattina di ventidue anni fa, quando era venuto il suo turno di insegnare il cinese medievale ai giovani studenti.

Tra i suoi colpi di genio, l’acquisto dei 45 giri, a fine anni ’60, con la voce di celebri attori hongkonghesi che leggono fiabe. All’epoca molti sinologi lo presero in giro, ma su questo e altri acquisti Pimpaneau costruì il museo Kwok On, che confluirà poi nel Museo d’Arte Orientale di Lisbona. Cultore sfegatato di teatro delle ombre, nella sua collezione spiccano marionette di commovente bellezza. Tra gli scaffali della You Feng, cercate il suo Lettre à une jeune fille qui voudrait partir en Chine, ed. Philippe Picquier, 2003, ideato per spezzare la monotonia della steppa fuori dal finestrino della transiberiana.

A qualche scaffale di distanza troverete un altro gioiello, di un altro stargate: André Lévy, titanico sinologo francese mancato l’anno scorso. Il padre aveva un negozio di orologi e gioielli a Tianjin, e Lévy nacque proprio lì, in Cina, nel 1925. Anche lui intessé una vita rocambolesca, tra Francia, Sri Lanka, Indocina e Giappone. Tra queste continue peripezie, una roccaforte, un amore costante: i racconti folk medievali. Dal suo cappello di prestigiatore capace di trasportarci nell’immaginario cinese, Lévy nel 1996 estrasse una splendida traduzione del capolavoro di Pu Songling, I racconti dello studio Liao (Liáozhāi zhìyì, Pu Songling, Chroniques de l’étrange).

Siamo nel XVII secolo e Pu, rampollo di una squattrinata famiglia di affittacamere nello Shandong, riuscì a passare gli esami imperiali e diventare funzionario di penultimo livello, per poi arrotondare facendo l’insegnante privato. Un Parini cinese insomma. Ma rende meglio l’idea un parallelo con Boiardo, o con Ariosto. Pu Songling aveva infatti un debole per le persone di ogni giorno e per la loro fantasia. Ascoltando il ciabattino e il pescivendolo, raccolse negli anni più di quattrocento racconti folk, e diede loro dignità letteraria.

Sfogliate le pagine dello «studio Liao» e prenderanno vita sotto i vostri occhi spiriti-volpi, fantasmi, studenti esangui alle prese con gli esami, ufficiali di corte, esorcisti taoisti, demoni, animali parlanti: la realtà collassa sotto il sogno. Lasciatevi portare per mano nel mondo dylandoghesco del XVII secolo cinese da Pu Songling. E se non volete leggerlo con gli occhiali di André Lévy, lo trovate anche in italiano:

I racconti fantastici dello studio di Liao, 3 voll., trad. dal cinese di Ludovico Nicola di Giura, Roma, Castelvecchi, 2017.