Per noi giornalisti che ci occupavamo di Afghanistan, il libro «Taliban» di Ahmed Rashid era «la Bibbia». «Passami la Bibbia, che devo controllare una cosa», era una frase che fu usata spesso nel gruppetto composto dal regista Paolo Grassini, dai giornalisti Sergio Trippodo e Nafeees Takkar e da me quando, nella primavera del 2000, decidemmo di avventurarci nell’ Afghanistan dei Taliban per una serie di reportage e per girare un documentario.

Il libro l’avevamo comprato nel cosidetto Super Jinnah, il centro commerciale di Islamabad, nei lunghi giorni che passammo nella capitale del Pakistan in difficili negoziati con i rappresentanti locali degli studenti islamici che erano al potere in Afghanistan per ottenere i visti e l’ autorizzazione ad usare le nostre macchine da presa.
Grazie alle conoscenze e all’ abilità di Nafees (che allora lavorava per il servizio in pashtu della Bbc), i negoziati ebbero successo, e fummo finalmente in grado di spostarci a Peshawar e da qui di risalire verso il Kyber Pass e il confine afghano.

Fummo tutti d’ accordo che non potevamo partire senza aver prima incontrato Ahmed, che ci concesse un’intervista che per noi tre italiani (Nafees, lui stesso un pashtu nato e cresciuto nei pressi della frontiera afghana, già conosceva bene i Taliban) fu illuminante.

«Sono un movimento molto pakistano ma anche molto afghano», disse tra l’altro Ahmed, dandoci una serie di suggerimenti che si rivelarono preziosi durante quel viaggio, che ci porto’ a Kabul e a Bamyan, dove avemmo la fortuna di fotografare i grandi Buddha che pochi mesi dopo furono distrutti dagli estremisti islamici.
«Taliban» ebbe un successo mondiale dopo il 9/11, quando diventò una lettura obbligatoria per chiunque volesse capire qualcosa dell’ Afghanistan, dei Taliban e del loro scomodo ospite Osama bin Laden. Riletto oggi mantiene tutta la sua forza e sicuramente rimane un testo indispensabile per chi si occupa dello sfortunato paese asiatico. Si apre con la storia degli stessi Taliban e del loro misterioso leader, il mullah Omar, morto in circostanze mai chiarite intorno al 2013 dopo essere sfuggito per anni alla caccia degli americani e dei loro alleati locali.

Il libro contiene una serie di informazioni fondamentali e di storie che sono state riprese da giornalisti di tutto il mondo (che spesso hanno omesso di citarne la fonte) come quella del signore della guerra uzbeko Rashid Dostum che fa uccidere un «traditore» legandolo ai cingoli di un carro armato al quale ordina poi di girare nel cortile del compound nel quale abitava.
Tra l’altro, Ahmed spiega con chiarezza le relazioni tra i Taliban e Islamabad – sulle quali, spiace dirlo, tante stupidaggini sono state scritte da giornalisti e dette da diplomatici e politici che non capivano o rifiutavano di capire che sia gli studenti islamici che i governanti e i militari pakistani si muovevano nella prospettiva di un dominio dell’ Islam piu’ retrogado su tutta l’Asia Centrale.

È estremamente istruttivo anche rileggere le pagine sui sogni coltivati da politici e imprenditori di tutto il mondo che hanno bruciato miliardi di dollari nella vana speranza di costruire in Afghanistan degli oleodotti che avrebbero dovuto portare petrolio e gas dalla Russia e dalle repubbliche ex-sovietiche in tutta l’Asia.
I sogni svanirono nelle nuvole di fumo create dagli aerei che i seguaci di bin Laden scagliarono contro le Torri Gemelle di New York l’ 11 settembre del 2001.
Con loro, purtroppo, si dissolse nel nulla anche la speranza di un futuro di pace e di sviluppo per milioni di afghani.

(Talebani, Ahmed Rashid, Feltrinelli)