A Conetta, almeno loro, non ci torneranno più. E hanno aperto la strada giusta a tutti gli altri, perché l’accoglienza significa dignità.

Le centinaia di migranti che per giorni camminavano a cavallo delle province di Venezia e Padova, alla fine hanno vinto: un letto vero, uno spazio umano e forse perfino un corso d’italiano o tempo da impegnare concretamente. Adesso è davvero possibile immaginare di svuotare la struttura, aperta come «accogliente» e rivelatasi semplicemente sbagliata. Va finalmente chiusa per non provare altra vergogna, guardando negli occhi la marea di profughi.

Loro, i vincitori, erano usciti alla spicciolata dal cancello dell’ex base militare Silvestri nella frazione di Cona. A piedi, con la valigia in testa o con il trolley trascinato insieme alla bici. In tre giorni sono diventati un esodo, lungo gli argini del Bacchiglione e del Brenta. Circa 250 migranti «in marcia per la dignità», una specie di piccola Selma nel cuore del Veneto come l’ha definita Gianfranco Bettin.

Soltanto Salif Traore, ivoriano di 35 anni, mancava all’appello: è morto mercoledì sera. Investito da un’auto mentre pedalava verso Codevigo, dove il parroco don Michele Fanton aveva appena aperto la chiesa.

Nell’hub dell’emergenza formato business, nessuno voleva più tornare. Per mesi hanno sopportato la gestione delle coop Ecofficina-Edeco (sinonimo dei coniugi Sara Felpati e Simone Borile) tutt’altro che in grado di reggere gli «ospiti». Il 2 gennaio in uno dei bagni si era registrata una morte atroce: Sandrine Bakayoko, 25 anni, ivoriana.

Poi il piccolo municipio era diventato il miraggio di un documento d’identità, prima del sogno di un permesso vero e proprio. Ma il sindaco Alberto Panfilio doveva fare i conti con un ufficio abituato a 2.985 abitanti: al massimo cinque pratiche alla settimana per certificare la «convivenza anagrafica» di oltre mille migranti. E nonostante visite d’autorità, ispezioni parlamentari, processioni di avvocati con attivisti e volontari, a Conetta la vita quotidiana restava un incubo. Prigione a cielo aperto, dimenticata in mezzo alla campagna, nell’indifferenza delle istituzioni.

Finché lunedì il primo drappello dell’ennesima «rivolta» ha mosso il primo passo. «Qui ci trattano come animali. Basta. Andiamo dal prefetto…»: sembrava impossibile, invece si è aperto lo spiraglio con le autorità. La lunga marcia era cominciata, fuori dal piccolo paese, verso Venezia. Cona era l’inferno: non avevano più niente da perdere. La dignità, invece, è stata la molla che ha spinto decine e poi centinaia di migranti verso Codevigo e la mattina dopo verso Mira. Con loro all’inizio i militanti dell’Usb di Bologna, i centri sociali del Nord Est, ma anche la Caritas padovana e la gente della Bassa. In marcia, come nei Balcani nell’estate 2015 e verso la tendopoli della vergogna europea di Idomeni nella primavera 2016.

Stesse immagini, identiche storie, uguale umanità senza alternative. La «marcia della dignità» ha messo il Veneto (che sogna l’autonomia, coltiva la piccola patria e raccoglie veleni) davanti allo specchio più nitido per la coscienza e meno adatto a riflettere favole. Così i rifugiati di Cona, immobili sul ponte di Bojon davanti all’esercito di poliziotti, hanno incarnato le parole di un papa nel cuore dei vescovi.

Il patriarca Francesco Moraglia – come già il vescovo di Padova Claudio Cipolla- ha risolto in diretta telefonica lo stallo che rischiava di travolgere tutto e tutti. Chiese e strutture parrocchiali spalancate a Mira, Borbiago, Oriago e Gambarare. Poi ieri il «censimento» indispensabile a predisporre con la prefettura il definitivo trasferimento in luoghi più consoni. Nel pomeriggio 151 migranti a bordo di bus hanno raggiunto strutture diverse in tutta la regione. Un’altra decina di richiedenti asilo ospitata dalla diocesi, mentre per gli ultimi 90 si stavano completando le operazioni da parte della task force coordinata dal prefetto Carlo Boffi.

Aboubakar dell’Usb ha perso la voce, ma ha vinto la partita dei suoi fratelli africani: «Sono ragazzi che dopo quasi due anni non sanno ancora esprimersi in italiano. È integrazione?».