L’Ungheria è stata, in Europa, tra le protagoniste del 2018 e ha fatto parlare di sé soprattutto negli ultimi mesi dell’anno. Fino alla rimozione della statua di Imre Nagy dalla piazza del Parlamento. Gli eventi autunnali sono stati, però, preceduti dalle elezioni politiche di aprile. Esse hanno visto prevalere per la terza volta consecutiva le forze governative che hanno ottenuto la maggioranza parlamentare di due terzi. Alla vigilia del voto non era mancato un certo ottimismo nutrito dai sostenitori delle opposizioni che si erano sentiti galvanizzati da un episodio avvenuto a fine febbraio: l’elezione a sindaco di Péter Márki-Zay nella cittadina di Hódmezövásárhely, contro il candidato delle forze governative. Cosa avvenuta in una roccaforte storica del Fidesz di Viktor Orbán grazie all’alleanza di diversi soggetti politici dell’opposizione, compreso Jobbik. L’avvenimento aveva alimentato delle speranze ma l’esito del voto ha fatto apparire illusorio quel po’ di ottimismo della vigilia. Poco dopo le elezioni, il quotidiano Magyar Hirlap, di destra, ma non più in sintonia col premier, è sparito dalle edicole. Hanno invece fatto la loro comparsa liste con i nomi di giornalisti, avvocati e organizzazioni impegnati sul fronte dei diritti umani e accademici rei di occuparsi, nei loro studi, di migranti e di questioni di genere. Tutti nemici della patria, secondo la retorica dell’attuale governo.

La politica di questo governo è stata denunciata dal rapporto dell’eurodeputata olandese Judith Sargentini che nel suo scritto ha sottolineato il rischio di gravi lesioni allo Stato di diritto in Ungheria. Il dossier è stato approvato dal Parlamento europeo a settembre con un voto che per Budapest è stato la meschina vendetta dei politici europei favorevoli all’immigrazione. Alla fine di novembre è iniziata, nella capitale ungherese, una lunga serie di manifestazioni per la libertà accademica, contro la chiusura della Ceu (Central European University), contro la legge che innalza a 400 il numero delle ore di straordinario e contro quella che prevede l’istituzione di tribunali speciali concepiti per giudicare i reati contro lo Stato con giudici scelti tra i fedeli a Orbán. Le manifestazioni si sono svolte anche in altre città del paese, ma è stato a Budapest che si è concentrato il grosso delle tensioni.

Il governo intende andare avanti per la sua strada considerando i manifestanti sobillatori ispirati da Soros e indica le elezioni europee come la resa dei conti con certa Europa liberale e decadente, destinata a cedere il passo alle istanze nazionali.