L’uccisione martedì del leader di Hamas, Saleh Aruri, e di sei quadri ha reso concreto il rischio di un’escalation del conflitto in Libano. Dall’8 ottobre Hezbollah e l’esercito israeliano si confrontano al confine.
Fino a martedì le regole di ingaggio avevano fatto in modo che i combattimenti da una parte e dall’altra si svolgessero entro pochi chilometri dal confine. L’attacco a Mshrafieh nel cuore della Dahieh, roccaforte sciita nella periferia a sud di Beirut, potrebbe rappresentare un nuovo e inquietante passo verso un’estensione della guerra a tutto il Libano. Nasrallah, capo di Hezbollah, nel discorso già previsto in occasione del quarto anniversario dalla morte del generale iraniano Soleimani il 3 gennaio, ha affermato che la milizia risponderà, in linea con quanto detto in precedenza: un attacco ad Hamas o ad altri in Libano sarebbe stato interpretato come una dichiarazione di guerra al paese. Il leader non ha chiarito modi e tempi e tutti attendono con ansia ulteriori elementi nel discorso che pronuncerà oggi pomeriggio.L’estensione della guerra sarebbe una catastrofe. Il paese è dal 2019 in una profondissima crisi economico-finanziaria, oltre che sociale, da quando lo schema Ponzi del settore bancario è saltato, prosciugando i conti dei risparmiatori. La lira libanese agganciata al dollaro (un dollaro per 1.500 lire fino ad aprile 2023 quando il tasso è passato a 15mila) si è svalutata fino al 200% del suo valore e l’inflazione è fuori controllo.
Il Libano è un paese dall’economia fortemente neoliberista basata sul terziario e che produce appena il 20% del proprio fabbisogno di beni primari e secondari; il settore pubblico è quasi inesistente. Corruzione, nepotismo e inefficienza a tutti i livelli sono altissimi.
Michel A. Samaha, economista esperto di sviluppo, ex docente alle Università Libanese e Americana-Libanese di macro economia ed economia urbana, consulente per le Nazioni unite, ha parlato con il manifesto della situazione attuale e delle conseguenze di un allargamento della guerra.

Quali sono i rischi di un’escalation per l’economia già disastrata del Libano?
I rischi sono enormi, a cominciare dal capitale umano: in caso di guerra migliaia di persone lasceranno il paese subito. Parlo di imprenditori, lavoratori qualificati e specializzati, giovani: ci sarà una migrazione di massa, come sta già avvenendo dal 2019. Le infrastrutture verranno distrutte, le attività economiche subiranno un arresto, le istituzioni ridurranno la loro funzionalità e ci sarà un esponenzialmente aumento del livello di povertà.

Quali sono i danni già causati dalla guerra in corso al confine sud del Libano?
In primo luogo, abbiamo avuto una riduzione drastica del turismo e in generale degli ingressi nel paese, dopo un’estate tutto sommato positiva. Anche i residenti all’estero che tornano con frequenza hanno avuto paura di rimanere bloccati nel paese dato che l’unica via al momento utilizzabile è l’aeroporto (il porto di Beirut, l’unico commerciale, è stato distrutto dall’esplosione del 4 agosto 2020; a est e nord c’è la Siria ancora in guerra civile e sotto attacco israeliano, mentre a sud Israele, ndr), un bersaglio quasi scontato nel caso di escalation. Il settore agricolo nel sud e tutta la filiera a esso legata sono stati fortemente danneggiati, per non parlare del disastro ecologico: ettari di foreste e olivi in fiamme, rischio di contaminazione della falda acquifera per l’utilizzo di Israele del fosforo bianco.

È necessaria una riforma del sistema bancario e di altri settori strategici. In che modo il conflitto sta influenzando questo processo?
In maniera negativa: sta ulteriormente rallentando un processo urgente e vitale. Parliamo di una classe politica che rifiuta di attuare riforme strutturali dal 1990 (fine della guerra civile cominciata nel 1975) e da prima. Il paese continua a vivere di rimesse dagli espatriati. Il conflitto viene e verrà utilizzato per continuare il consolidato gioco di potere o per far passare qualche legge contraria allo spirito delle riforme necessarie in quanto l’attenzione della gente è altrove.

Quali sono possibili e realistiche soluzioni affinché il Libano esca dalla crisi e abbia un’economia funzionale?
Bisogna fare in modo che gli 11 miliardi di dollari stanziati a patto di riforme dal Fondo monetario internazionale – di cui solo tre sono già arrivati – entrino nelle casse dello stato. E quindi patteggiare con loro il rinnovamento del settore bancario in primis, poi dell’amministrazione pubblica e dei settori chiave come quello dell’energia. In questo momento non possiamo permetterci il lusso di scegliere.