«È la prima volta che un tribunale internazionale afferma l’illegalità dell’occupazione israeliana in quanto tale con la conseguenza che, per porre fine all’illecito, Israele deve ritirarsi dai territori».

Così la giurista Alessandra Annoni, associata di diritto internazionale all’Università di Ferrara, riassume la storicità di quanto sentito ieri all’Aja. Un parere storico, dunque.

Quello del 2004 sul muro di separazione israeliano riguardava una questione puntuale: la legittimità della costruzione del muro in Palestina. La Corte ne ne aveva affermato l’illegittimità e come conseguenza l’obbligo per Israele di smantellarlo. Non trasse però conseguenze sull’illegittimità dell’occupazione in quanto tale, non era l’oggetto della domanda dell’Assemblea generale.

Stavolta, a domanda dell’Assemblea su un oggetto molto più ampio, la Corte ha affrontato in modo coraggioso ogni aspetto, valutando l’occupazione e le politiche israeliane alla luce dell’insieme delle norme di diritto internazionale, concludendo che l’occupazione è illegittima.

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La Corte ricostruisce l’intera struttura amministrativa, giuridica e militare dell’occupazione, mette insieme i pezzi e parla di annessione di fatto.
È molto puntuale e presenta affermazioni per niente scontate, come quella che riguarda l’apartheid. La Corte riconosce la violazione dell’articolo 3 della Convenzione contro la discriminazione razziale che vieta la segregazione razziale.

L’annessione di fatto si traduce in automatico in apartheid nel momento in cui priva di diritti una parte della popolazione presente sul territorio?
Non necessariamente le due cose sono collegate, si tratta di violazioni distinte. L’annessione di fatto estende l’applicazione della legge israeliana a territori che non sono parte dello Stato di Israele. Non è un’annessione formale come quella che della Russia con il Donbass per capirci. La violazione relativa alla discriminazione nei confronti dei palestinesi e all’instaurazione di un regime di apartheid è distinta: dipende dall’applicazione di misure come le strade separate, il doppio standard legale, il diverso riconoscimento della maggiore età eccetera. Misure che sono pratiche discriminatorie.

Esiste un’occupazione legittima per il diritto internazionale, se limitata nel tempo e dettata da particolari urgenze?
Il diritto internazionale non definisce nessuna occupazione militare come legittima o illegittima. Il regime di occupazione regola una situazione di fatto nella quale, nel corso di un conflitto armato, una parte occupa il territorio dell’altra. Le norme sull’occupazione si preoccupano di regolare tale situazione, ma non si pronunciano sulla sua legittimità né stabiliscono dei limiti temporali. È vero però che un’occupazione particolarmente prolungata come questa può accompagnarsi all’adozione di misure, prassi e pratiche. Quello che la Corte spiega è che ciò che rende l’occupazione israeliana illegittima sono tutte le altre violazioni: colonie, trasferimento di propria popolazione, discriminazione razziale, confische.

Quali obblighi hanno gli Stati terzi?
Dalle violazioni derivano una serie di conseguenze non solo per lo Stato che le compie ma anche per gli Stati terzi. Prima di tutto il divieto di riconoscimento, ovvero il divieto di riconoscere come lecita la modifica territoriale o dello status di determinati territori. Spostare l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, ad esempio, comporta un implicito riconoscimento della legittimità del potere israeliano su Gerusalemme est . In secondo luogo il divieto di prestare assistenza, militare, politica o di altra natura, ovvero fornire armi e strumenti che possono essere utilizzati per mantenere l’illegittima occupazione israeliana. Infine, l’obbligo di cooperare per porre fine all’occupazione illegittima, il più difficile da concretizzare. Qui la Corte è molto chiara nel dire che la responsabilità nello stabilire quali siano i modi migliori per arrivare rapidamente alla fine dell’occupazione ricade sull’Assemblea generale delle Nazioni unite.

Si tratta però di un parere non vincolante. L’Assemblea generale ha comunque un obbligo a intervenire?
È l’Assemblea che ha richiesto questo parere e le valutazioni di diritto che la Corte internazionale di giustizia compie sono vincolanti per gli organi delle Nazioni unite. Se il tuo organo giudiziario ti dice che questo è il diritto, l’Assemblea generale e il Consiglio di Sicurezza ne devono trarre le dovute conseguenze.

In sei mesi abbiamo assistito a un nuovo protagonismo del diritto internazionale, prima la sentenza sul genocidio plausibile a Gaza e adesso questo parere sull’occupazione. Avranno effetti concreti?
Gli organi di giustizia internazionale stanno facendo la loro parte. La Corte internazionale di giustizia sta analizzando con scrupolo le questioni che le vengono sottoposte. Ma, come ha scritto uno dei giudici in una delle opinioni separate sulla vicenda Sudafrica contro Israele, «court is just a court», la corte è solo una corte. Alla valutazione giuridica di quello che è il contenuto del diritto internazionale deve seguire un’azione da parte degli Stati che hanno l’obbligo di tradurre queste valutazioni in azioni politiche serie.