Anna P. ha 32 anni e vive a Mykolayiv dall’inizio della guerra. È della regione orientale di Kherson, dove oggi si trovano i suoi genitori e parte della sua famiglia.

Com’è la situazione in città, è arrivato il freddo?
Proprio oggi ne parlavo con mia madre al telefono. Loro sono un po’ più nell’entroterra di Kherson. Qui a Mykolayiv inizia a fare freddo ma non è ancora eccessivo. Gennaio e febbraio saranno tremendi: il vento dal Mar Nero è gelato. Ma la cosa che mi influenza di più al momento sono le giornate corte. È come se mi rattristassi ogni volta a vedere il tramonto nel primo pomeriggio. Forse perché hai l’impressione chiara che la giornata è finita, devi tornare a casa nonostante sia presto. Poi la notte quasi tutti tengono le luci spente e c’è il coprifuoco e rimani sola con i tuoi pensieri, con la tua paura.

Ma la situazione a Mykolayiv è migliorata, ora non è più così pericoloso come l’anno scorso.
L’anno scorso… è passato così tanto, a volte non te ne rendi conto e invece sono quasi due anni. Due anni che non vedo i miei. Comunque sì, rispetto all’anno scorso bombardano di meno, o con meno potenza. I bombardamenti ci sono sempre però a quanto ho capito si concentrano sul porto di Odessa e su Kherson. Noi siamo un po’ nel mezzo, prima di riconquistare Kherson ovest eravamo la “prima linea” invece, si dice così, no?

Proprio così. E infatti Mykolayiv è una delle città che ha sofferto di più dall’inizio della guerra. Come hai trascorso quei mesi terribili?
Sai che se ci penso ora avrei difficoltà a dirtelo? Mi sembra così lontano, o forse mi sono adattata in un certo senso. Ricordo che avevo sempre paura, che correvo sempre nei rifugi. Qui ho qualche amica in altre zone della città, ma non c’è la mia famiglia. Mi sentivo tanto sola. Passavo il tempo chiacchierando con le babushka nei rifugi o in fila per l’acqua e il cibo. Cercavo di parlare con i miei in ogni momento. Poi ho iniziato a uscire un po’ di più, qualche volta sono persino andata a bere un tè o a mangiare qualcosa fuori. A un certo punto hai bisogno di parlare con qualcuno che abbia meno di 80 anni (ride) altrimenti diventi pazza.

A proposito della tua famiglia, come mai siete separati?
Io lavoravo qui a Mykolayiv prima della guerra, in un negozio in centro che ora ha delle assi di legno al posto delle vetrate, come tanti del resto. Quindi avevo una casetta qui dove stavo durante la settimana, poi il week-end spesso tornavo in campagna dai miei e dagli amici. La guerra è iniziata di giovedì, e quindi ero qui.

Cosa hai fatto nelle prime ore?
Non si capiva niente. Io provavo solo a chiamare i miei per sentire come stavano. Ricevevo messaggi da amici e gruppi Telegram dove si diceva che Kherson era già persa e che sul ponte Antonivskiy erano morti centinaia dei nostri soldati.

Qualcuno che conoscevi?
Sono single, ho solo una sorella e mio padre è troppo vecchio per essere richiamato. Amici nell’esercito qui non ne avevo, qualcuno dei tempi della scuola che però era in altri reparti. Ora so per certo che della mia classe delle superiori tre ragazzi sono morti, ma potrebbero anche essere di più, non lo so.

Torniamo al 24 febbraio.
In città tutti erano convinti che saremmo stati i prossimi, c’erano militari che giravano per i condomini a dirci di restare nei rifugi qualsiasi cosa sarebbe successa e che loro avrebbero difeso Mykolayiv con la vita. Sarò onesta, non ci credevo. Ero convinta che i russi sarebbero entrati come a Kherson. Non perché non mi fidavo, ma perché ho sempre pensato che l’esercito russo fosse uno dei più forti al mondo. Mio padre ha fatto la guerra in Afghanistan quando c’era ancora l’Urss, guidava i carri armati, non mi ha mai raccontato molto ma ne ha sempre parlato con grande rispetto. E al telefono mi diceva: ‘nasconditi e aspetta il più possibile prima di uscire, le prime ore sono sempre le peggiori’. Io mi sono nascosta, a quel punto non c’era più linea, ero isolata in mezzo a estranei. Sono rimasta nel rifugio per una settimana di fila forse.

E cosa ti raccontano i tuoi dall’altra parte?
Per fortuna abitano in una zona un po’ isolata, non ci sono grandi strade o obiettivi importanti. L’inverno per loro è stato duro ma forse un po’ meno di qui perché il villaggio non è stato bombardato. Certo, sono persone anziane! Ma tranne qualche furto di cibo e legna nel villaggio i soldati russi non hanno fatto chissà che. Per fortuna mia sorella se ne prende cura. Fossero stati soli, forse non ci saremmo neanche riusciti a sentire.

La cosa più insopportabile?
In altri momenti ti avrei detto la paura di morire all’improvviso, ma ora penso che forse sia stato il fatto di averla vissuta da sola. Un giorno, quando la guerra finirà, la mia non sarà una delle storie del villaggio, non avrò potuto guardare negli occhi mia madre nelle sere peggiori e stare insieme a mia sorella con i nipoti. Io sarò quella che non c’era, a 200 km eppure a un mondo di distanza. So che sembra sciocco in mezzo a questa tragedia incredibile, ma è come se mi sento già esclusa da qualcosa. Esclusa per sempre.