Oggi al Senato si vota la richiesta del Tribunale dei ministri di Palermo di procedere nei confronti dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona e omissione d’atti d’ufficio.

I fatti in questione sono quelli di agosto 2019 quando la nave Open Arms dell’omonima Ong spagnola, dopo aver soccorso 163 persone durante tre diverse operazioni, prima di raggiungere un place of safety rimase 21 giorni in mare, 6 dei quali di fronte a Lampedusa.

È trascorso quasi un anno dal 20 agosto, ovvero il giorno in cui quell’odissea terminò e le 83 persone rimaste a bordo toccarono terra nel porto di Lampedusa.

La numero 65 è stata per Open Arms la missione in assoluto più lunga che invece di terminare dopo quindici giorni, in via del tutto eccezionale e in contrasto con le convenzioni internazionali, ne durò ventotto.

Per tentare di capire cosa è successo bisogna fare un passo indietro a giugno del 2019 quando venne pubblicato il secondo decreto sicurezza a firma del ministro dell’Interno Matteo Salvini, diventato poi legge ad agosto di quell’anno e tutt’ora in vigore.

Nello stesso, all’articolo 2, si trovano misure davvero punitive per cui a un’imbarcazione può essere imposto il divieto di ingresso, transito e sosta in acque territoriali, pena sanzioni elevatissime.

Un provvedimento molto difficile da rispettare dopo un salvataggio poiché, stando alle convenzioni internazionali, bisognerebbe raggiungere in breve tempo un luogo sicuro di sbarco.

Nel caso in questione, nonostante la situazione fosse al limite della sopportazione già dopo pochi giorni, la Open Arms ha comunque lottato legalmente per far sbarcare i naufraghi senza mettere a rischio nessuna delle persone a bordo: ha avviato, infatti, un ricorso presso il Tribunale per i Minori e alla Procura minorile di Palermo, un esposto alle Procure di Roma e di Agrigento, un esposto-denunzia a quella di Agrigento e un ricorso al Tar Lazio. E ciò nel tentativo di dimostrare l’inadeguatezza dei provvedimenti a cui era sottoposta.

Nel corso dell’ultima settimana, su quella barca, momenti di euforia si alternavano ad altri di intenso sconforto in base alle notizie che giungevano.

E sono proprio questi i giorni su cui si è concentrato il Tribunale dei ministri di Palermo. Infatti, dopo che il 14 agosto il Tar Lazio aveva disposto la sospensione del provvedimento di divieto di ingresso, autorizzando così l’entrata nelle acque italiane, non arrivò mai dal ministero dell’Interno l’autorizzazione (in qualsiasi forma) a sbarcare in un luogo sicuro.

La mattina del 20 agosto il Procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, salì sulla nave dopo che in tredici si erano tuffati in acqua nel tentativo estremo di raggiungere le coste di Lampedusa agognate da tempo, e rischiando di nuovo la vita.

La sua relazione, che ha poi portato all’indicazione di uno sbarco immediato, evidenziava «condizioni emozionali estreme in un clima di altissima espressione». Una constatazione che trova conferme nelle numerosissime immagini disponibili.

Per le ragioni qui emerse il Tribunale su indicato crede che «siano ravvisabili gli estremi del delitto plurimo di sequestro di persona, aggravato dall’essere stato commesso da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti le sue funzioni e anche in danno di minori».

Noi di Open Arms non chiediamo la testa di nessuno ma vogliamo che ci sia chiarezza su quei fatti, e ciò può avvenire solo in un’aula di Tribunale. Ci teniamo che questo accada per il rispetto del lavoro da noi svolto e per le persone che insieme all’equipaggio di Open Arms si sono trovate a vivere quella situazione infernale.

* Advocacy Officer di Open Arms