Non è stata la prima volta e rischia di non essere l’ultima: ieri mattina 75 naufraghi tratti in salvo da Open Arms si sono lanciati in mare sperando di raggiungere le coste siciliane a nuoto. Dal ponte della nave si vedeva la città di Palermo: in mezzo solo un miglio nautico e soprattutto la mancanza dell’autorizzazione allo sbarco. Altre dieci persone avevano compiuto lo stesso gesto martedì, nei pressi di Porto Empedocle.

In entrambi i casi chi si è buttato in acqua è stato recuperato dalla guardia costiera. I 75 sono stati trasferiti successivamente sulla nave quarantena Allegra. Sulla terraferma sono arrivate invece due donne incinte, una accompagnata dal marito, evacuate d’urgenza per motivi sanitari martedì sera. A bordo rimangono quindi 188 dei 276 migranti tratti in salvo in tre diversi interventi tra l’8 e il 10 settembre.

Paradossalmente sembra che per raggiungere l’Italia sia necessario rischiare la vita un’altra volta, dopo essere sopravvissuti alle prigioni libiche e all’attraversamento del Mediterraneo. «La cosa peggiore è che ormai queste cose sono diventate normali – dice Riccardo Gatti, capomissione e direttore di Open Arms Italia – Il sistema del soccorso in mare è stato distrutto: quello che dovrebbe valere per tutte le persone al mondo, cioè essere accompagnate nel porto sicuro più vicino dopo il salvataggio, non è più garantito a chi viene etichettato come “migrante”». Soprattutto se il migrante è salvato da una Ong.

I 95 naufraghi recuperati dalla nave di rifornimento Asso Ventinove (dell’Eni) vicino alle piattaforme petrolifere che si trovano davanti alla Libia sono giunti nel porto di Trapani mercoledì. Hanno effettuato a bordo i necessari controlli anti-covid e saranno trasbordati per la quarantena sulla nave Aurelia. Non rimarranno dunque in ostaggio di un teatrino politico che costringe a inutili attese persone che vivono «condizioni di vulnerabilità estrema», come ripetuto dal team medico di Emergency operante a bordo di Open Arms.

«Il salvataggio è avvenuto nella zona Sar maltese, ma La Valletta ci ha negato un porto, ha rifiutato le evacuazioni mediche chieste con urgenza dai dottori, ci ha impedito di ripararci sotto costa dall’arrivo del maltempo – dice Gatti – Ormai un paese europeo può permettersi tutto questo. L’Italia ha un atteggiamento più collaborativo ma siamo comunque in mare da dieci giorni. È desolante».

Meno di 24 ore dopo il discorso con cui la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato la volontà di superare il regolamento di Dublino, che costringe i migranti a chiedere asilo nel paese di sbarco, Open Arms e Emergency hanno diffuso un comunicato congiunto. Affermano la necessità e l’urgenza che «vengano messi a punto protocolli di ricerca e soccorso strutturali e che le autorità competenti proteggano e difendano l’integrità fisica e psichica dei naufraghi e garantiscano loro l’approdo in un porto sicuro come previsto dalle convenzioni internazionali, dal diritto del mare e dalle nostre costituzioni democratiche».