«Mai visto niente del genere, di questa estensione». Così ieri Navi Pillay, capa della commissione di inchiesta delle Nazioni unite sull’offensiva israeliana a Gaza ha sintetizzato i contenuti, durissimi, del rapporto pubblicato pochi giorni fa e presentato ieri a Ginevra.

LE ACCUSE sono dirette: Israele sta commettendo crimini di guerra e contro l’umanità. «Il bilancio di vittime è senza precedenti, i numeri sono incredibili», commenta poi in un’intervista ad al Jazeera. Una tragedia talmente enorme, dice, «da sopraffare la commissione»: doveva produrre 10.700 pagine di rapporto, non sono bastate e ha aggiunto due allegati.

Il rapporto sarà presentato all’Assemblea generale dell’Onu con l’obiettivo, si immagina, di costringere gli alleati di Israele a prendere misure concrete, che vadano al di là di condanne a parole mentre continuano a rimpolpare l’arsenale israeliano di armi.

Armi, spiega la commissione d’inchiesta, che l’esercito di Tel Aviv usa «deliberatamente» per «attacchi intenzionali e diretti contro la popolazione civile», macchiandosi dei crimini di sterminio, omicidio, trattamento crudele e disumano dei palestinesi, volontariamente portati alla fame, e «trasferendo con la forza quasi l’intera popolazione in uno spazio piccolo, insicuro e non vivibile».

A ciò si aggiungono «violenze sessuali e di genere commesse dalle forze israeliane con l’obiettivo di umiliare e subordinare ulteriormente la comunità palestinese». Violenze perpetrate sia contro le donne sia contro gli uomini. Dello stesso crimine, la violenza sessuale, sono accusati i gruppi armati palestinesi, a partire da Hamas, commessa «in particolare contro le donne» durante l’attacco del 7 ottobre. A questi, dice Pillay, si aggiungono i crimini di omicidio, attacchi contro civili, torture e presa di ostaggi.

DA CAPA della commissione per i Territori occupati, Pillay cita anche la Cisgiordania descrivendo un’ondata di violenza senza precedenti, confermata ieri dall’ennesimo rogo di alberi di ulivo palestinesi da parte di gruppi di coloni, a devastare un’economia già totalmente supina a quella israeliana e da mesi svuotata di mezzi di sostentamento.

Quanto detto ieri a Ginevra non è nuovo. Sono le stesse conclusioni a cui sono giunte, in tempi e con modalità diverse, la Corte internazionale di Giustizia e la procura della Corte penale internazionale, i massimi tribunali del pianeta, rimasti inascoltati.

Ieri, dopotutto, a Gaza è stato un giorno come i 257 precedenti. Un bombardamento israeliano ha centrato una casa nel quartiere Sabra di Gaza City, un altro il quartiere di Zeitoun: nel pomeriggio non c’era ancora un bilancio certo. Si conosce quello del raid che ha colpito al-Mawasi, trasformata da comunità beduina a tendopoli. Come accaduto a Tal al-Sultan a maggio, l’attacco su una presunta «zona sicura» ha incendiatole tende, otto gli uccisi. «Siamo stati colpiti in un’area che doveva essere sicura – racconta ai giornalisti un’anziana, Fatima al-Qiq – I bambini stavano dormendo».

È successo di notte: i carri armati israeliani si sono spinti verso Rafah ovest, coperti dall’aviazione, il fuoco è finito sulle tende di al-Mawasi. Tanti sono fuggiti in preda al panico. Ieri sera nove palestinesi una bomba israeliana ha preso di mira un gruppo di persone in attesa degli aiuti umanitari, a poca distanza da Kerem Shalom, sulla strada che domenica l’esercito aveva promesso di non colpire per 11 ore al giorno: nove uccisi. Il bilancio delle vittime palestinesi dal 7 ottobre sale a 37.396, a cui si aggiungono oltre 10mila dispersi.

NON C’È TREGUA a Gaza con quel che resta della Striscia preda da otto mesi di una presunta strategia militare riassunta – lo ha rifatto ieri il primo ministro Netanyahu – in un punto apparentemente chiaro: la distruzione di Hamas.

Stava scritto così nello scarno comunicato del premier, a smentire il portavoce dell’esercito Hagari che poche ore prima aveva detto quello che sanno tutti: Hamas non sarà distrutto, dire il contrario «è lanciare sabbia negli occhi dell’opinione pubblica». Quel che può essere distrutto, e lo è ogni giorno, è Gaza, l’unica terribile «missione compiuta» che finora Netanyahu può intestarsi.