E’ il paradosso della commissione Giustizia del Senato. I numeri per procedere prima con la discussione e poi con l’approvazione del ddl Zan contro omofobia, transfobia misoginia e abilismo sulla carta bastano e avanzano, visto che il testo può contare su un vasto schieramento favorevole che comprende Pd, M5S, LeU, Italia viva e Autonomie. Eppure il provvedimento, approvato dalla Camera a novembre dell’anno scorso, da mesi resta fermo dov’è, paralizzato dall’ostruzionismo del centrodestra, Lega in testa.

L’ultimo atto si è avuto ieri quando, come annunciato, in commissione ha fatto ingresso il ddl sull’omofobia messo a punto da destra e centristi, prima firmataria la senatrice Licia Ronzulli di Foza Italia insieme a Matteo Salvini, Paola Binetti e Gaetano Quagliarello, ma da ieri sostenuto anche da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Tre articoli in cui la parola «genere» non appare da nessuna parte e che prevedono un inasprimento delle pene per le discriminazioni previste già dalla legge Mancino. Seguendo un copione già visto nelle scorse settimane, il presidente della commissione, il leghista Andrea Ostellari, ha deciso di unificare il nuovo testo al ddl Zan, nonostante il parere contrario del centrosinistra. «Ha agito d’autorità impedendoci di votare», accusa la capogruppo del Misto, la senatrice di LeU Loredana De Petris, mentre a protestare sono anche Pd e M5S che parlano di «forzature istituzionale». Tutto regolare, invece, per Ostellari: «Ho applicato l’articolo 51 del regolamento del Senato e quindi ho congiunto il ddl Zan con il ddl Ronzulli-Salvini che saranno trattati insieme – spiega il leghista -. Mi spiace per chi grida allo strappo, certificando una certa ignoranza delle regole».

Lo scontro trai due schieramenti ormai è frontale e dura da mesi. «Ogni scusa è buona per ritardare in modo strumentale la discussione e l’approvazione di una buona legge», si sfoga la dem Monica Cirinnà. «Dopo aver insistito per settimane sull’inutilità di un intervento legislativo, il centrodestra ha presentato un ddl gravemente carente dal punto di vista giuridico e irricevibile dal punto di vista politico». Un testo che per il centrosinistra rischia di creare più problemi di quanti ne risolva e, cosa più importante, di non tutelare affatto le persone che vengono discriminate o peggio ancora aggredite a causa delle proprio orientamento sessuale e identità di genere. «Anzitutto – spiega sempre Cirinnà – esclude ogni forma di tutela per le persone trans e non prevede alcuna misura di prevenzione della discriminazione e della violenza sul piano culturale, limitandosi a punire. Inoltre prevede una semplice e più blanda aggravante comune laddove del ddl Zan estende a questi crimini d’odio l’aggravante speciale e più incisiva della legge Mancino».

Legge Mancino che, accusa sempre il centrosinistra, rischia di uscire indebolita dal ddl Renzulli-Salvini: «Riferendosi anche a condotte basate su etnia, nazionalità e religione – prosegue infatti la senatrice dem – crea un pericoloso conflitto tra aggravanti, rischiando di vanificare la portata della legge Mancino».

Infine c’è il capitolo audizioni. Ne sono state chieste un numero infinito, 200, tanto che lo stesso Ostellari ha chiesto ai partiti di procedere con una scrematura. Chiaro che il centrodestra punta a superare l’estate, quando ad avere la precedenza saranno altre scadenze come, ad esempio la legge di bilancio.

Si dice fiducioso, nonostante tutto, il vicepresidente del gruppo Pd, Franco Mirabelli: «Che i testi siano uno, due o tre non cambia nulla», dice. «Ci saranno le audizioni e al presidente Ostellari abbiamo chiesto di organizzare le cose in modo che entro fine giugno si possa votare il testo base in commissione, che, ovviamente, sarà il ddl Zan riuscendo ad andare in aula a luglio». Ma c’è anche chi, più pessimista, non esclude invece la possibilità di andare in aula senza relatore, affrontando direttamente il voto.