Il dibattito sul fine vita, che si è riaperto in seguito al suicidio in Svizzera di Dj Fabo accompagnato dal radicale Marco Cappato, prosegue in vari contesti.

In esso, vi è chi pone al centro l’uomo ed i limiti della sua capacità di soffrire e chi, ignorando quest’ultimo dato, sposta il dibattito sul versante ideologico, proponendo tabù e visioni religiose. Ugualmente vi è chi affronta il tema pensando a cosa farebbe se fosse direttamente coinvolto e chi invece lo tratta sulla base della propria idea di cosa debbano fare gli altri e, spesso, della propria convinzione di poterli obbligare ad agire in un determinato modo.

IN SEDE DI GIURISDIZIONE civile, l’intervento più rilevante resta quello della Corte di Cassazione del 2007 (caso Englaro). Con esso la Corte affermò che l’idratazione e l’alimentazione artificiale, pur non costituendo accanimento terapeutico, integrano un trattamento sanitario e che, di conseguenza, il giudice può autorizzarne l’interruzione, ove la condizione vegetativa sia irreversibile e sia accertato che il paziente, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento. Sul versante penale, il codice attualmente punisce l’omicidio del consenziente (art. 579 c.p.) e l’aiuto al suicidio (art. 580 c.p.). La differenza tra le due figure consiste nel fatto che, nella prima, colui che provoca la morte si sostituisca all’aspirante suicida, mentre nella seconda quest’ultimo conservi un ruolo attivo.

Perché l’uno o altro reato si configuri, tuttavia, è necessario che la fattispecie non debba essere inquadrata nell’ambito di un legittimo rifiuto di trattamento terapeutico.

Sono possibili due interpretazioni, le quali, nella vicenda Welby, si contrapposero emblematicamente. L’anestesista di Welby pose in essere un intervento attivo, interrompendo la ventilazione al paziente. Il gip del tribunale dispose l’imputazione coatta del medico, sostenendo che il principio costituzionale che consente di rifiutare le cure non può avere un’estensione tale da superare il limite del diritto alla vita. Il gup successivamente investito lo prosciolse, affermando che la ventilazione assistita è intervento terapeutico e che il diritto di rifiutare trattamenti sanitari fa parte dei diritti inviolabili della persona. Non essendo stata impugnata, tale ultima decisione rappresenta, allo stato, il principio giurisprudenziale di riferimento.

OGNI FATTISPECIE, tuttavia, deve essere autonomamente valutata, perdurando distinzioni tra le varie figure di eutanasia (attiva e passiva) e tra i diversi tipi di possibili di intervento, terapeutico e di sostegno.

Nel caso in cui un episodio astrattamente valutabile come reato per la legge italiana sia commesso all’estero e di esso sia autore o coautore un cittadino italiano, il quale poi torni nel territorio dello Stato, la legge prevede che esso sia perseguito nel nostro Paese, se punito con una pena non inferiore nel minimo a tre anni. Ciò significa che sono astrattamente punibili in Italia sia l’omicidio del consenziente (pena minima sei anni), che l’aiuto al suicidio (pena minima cinque anni), commessi all’estero da cittadino italiano.

OVVIAMENTE, la perseguibilità del reato implica l’esame della relativa notizia di reato, ma ciò non significa che l’azione penale debba sfociare in una contestazione ed eventualmente in una condanna.

Ogni elemento della fattispecie, come la volontà del soggetto e le sue condizioni, la tipologia di intervento, attivo o passivo, di interruzione o non somministrazione compiuto ed il contributo causale del cittadino italiano dovranno essere adeguatamente valutati.

Il quadro descritto rende inevitabile l’auspicio che problematiche di tal tipo non siano lasciate all’interpretazione giurisprudenziale, ma siano regolate dalla legge e, in particolare, da una legge moderna, consapevole delle distinzioni che l’evoluzione scientifica ha determinato e delle vicende effettivamente accadute. La legge attualmente vigente fu elaborata in epoche lontane, sulla base di esperienze quali il trafiggere con una spada l’aspirante suicida o nel fornirgliela.

*Esperto di diritto di famiglia e penale